di Lorenzo Di Biase
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A Don Francesco Maria Giua (1905–1998), un prete nativo di Benetutti che espletava il suo mandato ministeriale come viceparroco ad Oschiri, gli fu contestata un’omelia dedicata al tema della pace e contro gli orrori della guerra, durante la messa del 28 maggio 1940, celebrata nella chiesa dedicata a San Giovanni Battista nella località “Balascia”, in agro di Oschiri confinante con il comune gallurese di Tempio Pausania.
Il sacerdote è stato l’unico religioso sardo a provare sulla propria pelle gli effetti della potente e spietata macchina repressiva fascista, vivendo la dura e triste esperienza del confino di polizia. Egli venne condannato per direttissima dalla Commissione provinciale per l’assegnazione al confino di polizia di Sassari con l’accusa di “disfattismo politico”. La predica dedicata alla pace pronunciata da Don Giua non piacque ad alcuni suoi parrocchiani che lo denunciarono, verso la seconda decade di giugno al termine della mietitura del grano, ai Reali Carabinieri di Ozieri. Questi, acquisite alcune testimonianze dopo aver effettuato le indagini di rito, fecero immediato rapporto alle superiori autorità e per il giovane presbitero non ci fu nulla da fare: ad agosto, nonostante il viceparroco sostenesse la sua innocenza e l’infamia delle accuse al lui mosse, venne condannato a due anni di confino da scontare presso la colonia confinaria di Pisticci, in provincia di Matera.
Don Giua era un curato di campagna schierato a favore della pace; egli era un servo di Dio e come tale non poteva essere certamente a favore della guerra coi lutti e distruzione che inevitabilmente si materializzano con essa. Eppure, la sua omelia venne travisata e le sue parole volutamente interpretate come “disfattiste”. Non è un caso, quindi, se, nel giro di un paio di mesi, Don Giua si ritrovò a vivere in una landa desolata e malarica, qual’era a quei tempi la colonia confinaria di Pisticci, privato delle libertà fondamentali.
Dopo la delazione Don Giua fu interrogato in caserma a Ozieri, poi venne incarcerato a Sassari e infine fu tradotto nella lontana Pisticci, in Basilicata, come se fosse un temibile delinquente accompagnato in quella traduzione dalle camicie nere e dai Carabinieri. A Pisticci vi trascorse diversi mesi, poi, a seguito del deperimento organico dovuto all’insalubrità del clima davvero infernale che vi si respirava, venne trasferito in collina a Colobraro sempre in provincia di Matera. Egli nonostante vestisse gli abiti talari col tipico copricapo talare detto “Saturno” non poteva esercitare il suo mandato sino a che non avesse ottenuto l’autorizzazione. A tela motivo, nel mese di novembre del 1940 inoltrò alla Questura di Matera la richiesta “di essergli assegnata la qualità di sacerdote ed averne la debita licenza per celebrare la Santa messa in Colobraro”, richiesta accordatagli a stretto giro di posta. Credo che questa richiesta da sola evidenzi quanto repressivo, duro e distruttivo fosse il regime fascista. Quanta umiliazione deve aver provato Don Giua nell’inoltrare simile supplica. Possiamo solo immaginare quale dramma interiore può aver vissuto questo servitore della Chiesa, un uomo che ha consacrato tutta la sua vita a Dio. Don Giua è la figura esemplare di un uomo coraggioso che, contrariamente a quanto hanno fatto in passato e continuano a fare anche al giorno d’oggi, tanti esponenti della Chiesa non aveva “peli sulla lingua” e non era schiavo del potere, ma riteneva suo dovere orientare i fedeli verso il bene comune mettendoli in guardia contro i “falsi profeti” anche a costo di subirne personalmente le conseguenze, come difatti avvenne.
Nella ex Colonia Confinaria di Pisticci (MT) al sacerdote sardo gli è stata dedicata una strada così titolata “Via Don Francesco Maria Giua (1905 – 1998) sacerdote Antifascista”.
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