di Sandro Renato Garau
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Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse sequestrano Aldo Moro in via Fani e uccidono i cinque uomini della scorta.
Avevo 28 anni ed ero consigliere comunale dello stesso partito di Moro, ne ero orgoglioso, ero stato eletto per dare il mio piccolo contributo alla crescita del mio paese e mi sforzavo per questo. Ma quel rapimento e quelle morti arrivarono come un pugno sullo stomaco.
Credevo e credevamo nella democrazia, quella partecipata, discussa, litigata in decine di assemblee e consigli comunali, dove le idee altrui erano sempre rispettate e sovente si arrivava a una soluzione comune, senza rancore ne astio. Ma il rapimento di Aldo Moro per noi, soprattutto giovani, non c’entrava niente con la democrazia. Era solo violenza. Non era neanche “visione del mondo”. Eravamo assetati di rinnovamento e di novità e qualcun altro nostro coetaneo di sangue.
I giorni successivi furono solo di attesa, preoccupata, di lettura di comunicati che ci sembravano deliranti. Sino all’epilogo. Grazie Aldo Moro per il tuo sacrificio e la tua lezione di vita. Affido a una delle tante frasi illuminanti, quella pronunciata il 28 febbraio 1978 durante un incontro con un gruppo di parlamentari un pensiero che condivido in pieno. Aldo Moro ricordava a tutti: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta: la verità è sempre illuminante, ci aiuta ad essere coraggiosi”.
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