di Giovanni Angelo Pinna
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Che la tecnologia abbia cambiato il nostro “senso comune” è cosa ormai nota a tutti. Quali scelte vengono fatte senza che vi sia la tecnologia di mezzo a viziarne l’interesse, incrementare l’incertezza, verso l’una piuttosto che l’altra? Quante volte la comprensione della realtà viene “drogata” dal parere di un algoritmo?
Fino a non molto tempo fa si era soliti dire che la nostra vita, la quotidianità e ogni avvenimento era volontà del fato, una scelta di Dio o di madre natura. Non mancavano anche i sostenitori del “ciò che mi succede è solo conseguenza di una mia scelta, tutto dipende da me”.
Anche i filosofi più famosi si erano già espressi su questo tema: Kant affermava che l’agire era basato sull’intenzione, Weber che le conseguenze sono inintenzionali. Il concetto di scelta, già presente nel mito di Er nel X libro della Repubblica, di Platone, venne poi approfondito da Aristotele che affermava: dato il bene come unico fine, la scelta può vertere solo sui mezzi per realizzarlo comportando quel nesso tra ragione e volontarietà.
Oggi, invece, si parla di algoritmi che scelgono per noi e lo fanno per le più svariate situazioni.
Si pensi ai social che scelgono per noi quale prodotto acquistare perché “potenzialmente più adatto per il nostro bene o benessere”, si pensi ai tanti software che, ricevute delle informazioni base, mostrano quello che è il minor rischio anche sotto l’aspetto di un futuro rapporto sentimentale/professionale (esattamente come nel film “E alla fine arriva Polly”).
Prima era il titolare dell’azienda, o suo delegato, a dover valutare i vari profili dei candidati. Oggi lo fanno i software. Applicativi che, alla fine, restituiscono un elenco eliminando da subito quello che, a livello di logica computazionale, viene definito “scarto, dato inutile”.
Ma anche sotto l’aspetto terapeutico le cose non viaggiano sulla “vecchia strada”: oggi si è consegnato agli algoritmi l’arduo compito di valutare l’innovatività terapeutica.
Possiamo citare anche tutte quelle analisi, sempre effettuate da un software, per prevenire fallimenti o prevedere/calcolare le azioni che, sicuramente, porteranno al successo.
Una realtà già presente oggi ma che, per fortuna, lascia ancora spazio all’incertezza, alla necessità di un intervento umano per rimuovere gli errori che uno o più algoritmi non riescono ancora ad eliminare.
La tecnologia è sempre più presente tra di noi, ma è ancora l’uomo a farla da padrone. Solo l’uomo è capace di assumere una decisione, che può avvenire automaticamente senza che venga esplicitamente evidenziata la necessita di prenderla oppure dietro analisi di informazioni. Solo l’uomo è capace di rimuovere, immediatamente, eventuali errori incontrati “strada facendo”. L’algoritmo, per intelligente che possa essere, restituisce solo le informazioni che l’uomo ha già deciso debbano essere il risultato: sulla base di dati in input restituisce previsioni (ad esempio metereologiche o di prevenzione di disastri ambientali) ma c’è sempre quell’incertezza dei calcoli.
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