Nella tarda serata del 9 agosto, durante un normale controllo all’interno di una camera di pernottamento dell’istituto penitenziario arburese il personale in servizio ha rinvenuto un telefono cellulare di piccole dimensioni con carica batterie, perfettamente funzionante.
«Continua incessante l’attività degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, quotidianamente impegnati nel contrasto alla introduzione e alla detenzione di droga e telefoni cellulari nelle carceri del Paese», afferma Sandro Atzeni, coordinatore regionale della F.P. Cgil Polizia Penitenziaria, «Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria per l’ennesima volta, pur se tra mille criticità operative, con livelli minimi di sicurezza e poche risorse umane, garantiscono ed assicurano la legalità contro il malaffare della criminalità nelle carceri. Nonostante la previsione di reato prevista dal art. 391 ter del Codice penale di recente emanazione per l’ingresso e detenzione illecita di telefonini nei carceri, con pene severe che vanno da 1 a 4 anni, il fenomeno non sembra ancora attenuarsi».
«Nel provvedimento, voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per contrastare il crescente flusso di telefoni», conclude Sandro Atzeni, «che si tenta di far entrare nelle carceri, viene per la prima volta punito sia chi, dall’esterno, cerca di introdurre un telefono in carcere sia il detenuto che lo detiene. Quest’ultimo caso, finora, era trattato come illecito disciplinare e sanzionato all’interno dell’istituto; da oggi diventa un vero e proprio reato previsto dal nuovo articolo 391-ter del codice penale. Sono in vigore da oggi le norme che prevedono una pena da 1 a 4 anni per chi introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento