Ha sottoposto la ex moglie a ripetute violenze almeno per quasi due mesi e ora è arrivata la conferma della sentenza della corte d’appello di Cagliari. Così Antonio Polizzotto, un carabiniere siciliano, residente in Lombardia, è stato condannato a due anni e otto mesi per i reati di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti dell’allora moglie Silvana Dibenedetto, che ha trovato la forza di denunciare l’ex marito. I fatti risalgono al 2017 e sono avvenuti in una località costiera tra il luglio e il settembre 2017.
La Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la condanna e per la donna, assistita dall’avvocato di Quartucciu Gino Emanuele Melis, è la fine di un incubo cominciato nel lontano 2017: in più gli insulti e i maltrattamenti sono avvenuti anche in presenza dei figli.
Silvana Dibenedetto ha avuto un grande coraggio ed è andata avanti fino alla fine per ottenere giustizia: “Trovare la forza per denunciare non è affatto facile. Se poi chi ha commesso il reato è un rappresentante dell’arma dei carabinieri, ebbene, devi superare esami ben più ardui. Devi essere disposta a mettere in piazza il tuo vissuto, devi essere disposta a farti giudicare e a far scavare in ogni angolo della tua vita per capire se sei attendibile”.
Silvana Dibenedetto ha dovuto affrontare una guerra contro un mondo crudele dove prima di essere riconosciuta come una vittima, è stata sottoposta a ogni tipo di umiliazione. “Sotto processo, durante le indagini svolte a Milano su delega del PM, – racconta – sono finita io. Fortunatamente il Procuratore ha poi ritenuto di raccogliere le informazioni direttamente dai suoi ausiliari locali e le cose sono cambiate: ho trovato accoglienza e sensibilità, grande accuratezza nelle indagini senza che mi fosse tolta la dignità. Ad oggi, dopo ben due gradi di giudizio con sentenza conforme, l’atteggiamento dell’Arma si è limitata ad un provvedimento di sospensione dal lavoro e nulla di più.
Chi è vittima trova conforto solamente quando le ferite si rimarginano e, troppo spesso, questa guarigione viene prolungata dal pregiudizio e dall’indifferenza della gente. Sì perché chi denuncia, viene giudicata. Pochi ti incoraggiano a farlo. Se poi chi ti ha maltrattato è tuo marito, peggio ancora. Pochi comprendono che invece se chi ti usa violenza è la persona alla quale hai affidato la tua vita, la persona che senti che ti proteggerà perché l’ha promesso davanti a Dio e l’ha promesso quando ha deciso di indossare una divisa … ecco, se si tratta di “quella persona”, sarai segnata a vita: non ti fiderai più di nessuno e le tue future relazioni saranno solo dei fallimenti”…
Eppure bisogna trovare il coraggio e la forza per denunciare comunque: “Perché alla fine – conclude – chi deve vergognarsi, non dobbiamo essere noi. Troppo spesso si tende a nascondere queste dinamiche perché si sa a priori quanto sia difficile affrontare tutto il percorso ma non siamo più sole. Esistono associazioni, professionisti e autorità che aiutano chi è vittima di violenza da codice rosso e grazie a questi elementi dobbiamo smascherare questi mostri che, tra le mura di casa, hanno la meglio e fuori di casa mostrano una parvenza di umanità”. (glp)
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