di Francesco Diana
____________________________
Premesso che il progresso scientifico è indubbiamente un fenomeno positivo, specialmente se si pensa agli effetti che produce in tutti i campi, partendo dalla medicina e fino al sociale. Tuttavia la positività trascina spesso effetti negativi che, in alcuni casi annullano e vanificano quelli positivi, come dimostra il perdurare della pandemia generata dal Covid-19, incontestabile aspetto negativo del progresso.
Alessandro Manzoni sosteneva in proposito che: “Non sempre quello che vien dopo è progresso!” e, nel loro piccolo, lo condividono anche i “collinesi”, o “forresus” che si voglia, con riferimento alla scuola d’infanzia, primaria e media, conquistate con enormi sacrifici dalle precedenti generazioni, ma perse proprio per effetto del progresso che, nell’arco di un secolo, ha portato ad uno spopolamento senza precedenti.
Avevano un Asilo infantile gestito dalle Suore francescane dell’Ordine del Mons. Rosaz di Susa, frutto di una donazione dei compaesani Raimondo Pau e Donna Virginia Diana, che costituiva il fiore all’occhiello dell’intera comunità, oggi occupato da due anziane religiose che, alla stregua del famoso giapponese Hirodo Onoda, continuano a occupare i locali come un avamposto militare da difendere fino alla morte, per evitare che possano essere utilizzati per altri fini, trasgredendo di fatto la volontà dei donanti!
Avevano una scuola Elementare, oggi Primaria che, dal Maestro Mancosu in poi, aveva insegnato a leggere, scrivere e ragionare a tante generazioni, seppure alloggiata spesso in locali di fortuna fatiscenti, per niente conformi alle più elementari norme di carattere igienico e sanitario, ma solo in tempi più recenti dotata di locali di concezione più moderna, adeguati alle reali esigenze della scuola.
Avevano una Scuola media frequentata anche dai ragazzi di Villanovaforru, in un primo momento alloggiata in locali di fortuna, come ad esempio il Montegranatico, ma poi trasferita nei nuovissimi locali realizzati in prossimità della Chiesa di San Rocco e della Palestra comunale.
Bene! proprio grazie al progresso si è verificato un massiccio esodo dalla periferia verso la città o, comunque, verso i centri più popolosi, poichè capaci di offrire maggiori opportunità di lavoro e condizioni di vita più consone alle comprensibili aspirazioni delle nuove generazioni. Ciò ha portato ad una drastica contrazione della popolazione residente che, come ovvia conseguenza, ha portato al trasferimento dei servizi scolastici nei comuni viciniori, come pure altri servizi pubblici quali ad esempio lo sportello bancario. La scuola media è andata a finire a Villanovaforru, mentre quella primaria e quella dell’infanzia hanno confluito su Sardara.
Desolatamente chiusi gli edifici che le ospitavano e gravi disagi per i ragazzi, specialmente quelli della scuola primaria, costretti a bivaccare quotidianamente nelle strade in attesa dei minibus preposti per traghettarli a destinazione.
Peraltro, per effetto di tale organizzazione, in alcuni centri si sono venute a creare le così dette “classi pollaio” a causa dell’indisponibilità delle necessarie strutture ricettive, che mal si concilia con le norme in vigore imposte per contrastare la pandemia in atto, oltre che per evidenti ragioni di ordine didattico.
A tal proposito è abbastanza singolare il fatto che, viste le esigenze del momento, a nessuno sia venuto in mente di riutilizzare i tanti edifici rimasti desolatamente vuoti in molti comuni per effetto della riorganizzazione di cui si è detto, salvo che non si voglia considerare tale disagio come conseguenza del “peccato originale” gravante esclusivamente su quanti sono venuti al mondo nelle piccole comunità.
«Torniamo all’antico e sarà un progresso», recita un aforisma attribuito a Giuseppe Verdi! che tuttavia sposiamo in pieno solo se per “antico” si vuole intendere lo scenario descritto in precedenza, risalente al periodo che decorre dagli anni ’60 e fino agli albori del secolo successivo.

Il periodo precedente, per intenderci quello più antico, appartiene invece all’albo dei ricordi degli attuali nonni i quali, seppure senza rimpiangerlo, lo raccontano spesso ai nipoti non senza un pizzico di commozione.
Era l’epoca in cui la “Scuola Elementare” alloggiava al piano terra dello stabile appartenuto a Giovanni Battista Tuveri, oggi Municipio. Tre aule avevano accesso diretto dalla piazzetta antistante conosciuta da tutti come “Su corrazzu”, mentre alle altre due si accedeva dal cortile interno dove giganteggiavano due maestose “Robinie” dai fiori bianchi e dai poderosi aculei.
In aderenza al muro perimetrale del confinante Montegranatico insisteva una vasca a cielo aperto priva di riparo alcuno, contenente calce spenta da utilizzare per rinfrescare e sanare le pareti delle stesse aule e dei locali municipali, siti al primo piano e accessibili attraverso una scala esterna. Nello spazio compreso fra l’ala estrema dello stabile e il muro posteriore del Montegranatico erano stati realizzati, si fa per dire, “i servizi igienici”, rappresentati da tre piccoli ambienti destinati rispettivamente alle femmine, ai maschi e ai dipendenti comunali, ciascuno dei quali dotati di un semplice foro sul pavimento per lo scarico diretto alla fossa settica sottostante, peraltro difficile da raggiungere per i problematici slalom imposti dall’inadeguato utilizzo del servizio.(!)
L’arredo scolastico era costituito da banchi vetusti, biposto di colore grigio, con scrittoi di colore nero, incernierati al telaio nella parte superiore, per consentire la sistemazione delle borse o dei libri nel piano sottostante. Il fascione superiore su cui era incernierato il piano-scrittoio, presentava una scanalatura longitudinale destinata ad accogliere la penna col pennino, la matita e la gomma; ai lati esterni un foro su cui veniva sistemato il calamaio a incasso, periodicamente rimboccato d’inchiostro a cura del bidello di turno. La lavagna risultava incernierata centralmente da entrambi i lati, onde consentirne orientamento in relazione all’altezza dello scolaro. La spugnetta per la cancellazione era collegata alla lavagna con un lungo spago per impedirne l’uso per altri scopi, specie durante la ricreazione. I gessetti, reintegrati giornalmente dal bidello, venivano regolarmente trafugati e utilizzati per il tracciamento dei tradizionali campi da gioco o dei settori necessari per cimentarsi in: “su peincaneddu!”, durante la ricreazione.
Completamente inesistente ogni forma di riscaldamento destinata a mitigare le temperature all’interno delle aule nel corso dei rigidi inverni, se si esclude il classico braciere sotto la cattedra dell’insegnante, che i bidelli di turno, il signor Giovanni Casciu e la figlia Giovanna, provvedevano ad alimentare di brace ardenti più volte nel corso della mattinata. Solo eccezionalmente agli scolari veniva consentito di riscaldarsi mani e piedi nelle giornate particolarmente rigide o in casi di palesi singole necessità. Tali fonti di calore, proprio per la loro posizione, dovevano essere utilizzate e gestite con cura, principalmente delle signore, onde evitare scottature o, più frequentemente, i classici arrossamenti antiestetici conosciuti come il classico “sartizzu”.
La dotazione scolastica di ogni scolaro era costituito dall’immancabile “Sussidiario”, da un quaderno di bella e da uno di bruta, sia a righe sia a quadretti, una penna con pennino, una matita, un temperamatite, una gomma da matita e una da penna, un foglio di carta assorbente, un congruo numero di pennini e uno straccetto per la pulizia degli stessi, il tutto contenuto all’interno della classica cartella in cartone, che veniva sistemata nell’apposito ripiano, immediatamente sotto lo scrittoio. Alla carenza della necessaria carta assorbente si sopperiva spesso con la cenere presente nel braciere sotto la cattedra.
La divisa scolastica era rappresentata dal classico grembiulino bianco per la prima e la seconda, quando si adoperava la sola matita, rigorosamente nero in terza, quarta e quinta, in virtù del fatto che si operava esclusivamente col pennino intinto nell’inchiostro contenuto nel calamaio.
A completare l’arredo il classico colletto bianco, guarnito dal fiocco che, dalla prima alla quinta, era rispettivamente di colore rosa, celeste, giallo, blu e rosso, salvo differenziazioni imposte dalla fantasia dell’insegnante di turno.
Questi e tanti altri i ricordi della vecchia Scuola Elementare dei nonni.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento