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L'ISOLA IN CUCINA

Comment’est durche su mele siat durche s’amori

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Roberto Loddi

La Sardegna è una terra dagli scenari incantati, con luoghi ricchi di fascino introvabili in altri angoli di mondo, dove resistono ancora tradizioni arcaiche legate ai costumi e agli usi di un tempo. Per esempio a proposito del matrimonio e in particolar modo nei paesi dell’entroterra, questi valori sono rimasti molto saldi e spesso inviolati. Leggendario è sa coja antiga, l’antico matrimonio, (coja, cojóngiu, cojantza, sposallitziu, sposoriu), in costume selargino, vissuto profondamente come legame fisico e religioso di due esseri viventi. Infatti, secondo il canone di Santa Romana Chiesa, veniva e tutt’ora viene celebrato in lingua sarda con gli sposi legati con una catena simbolica, sa cadena, emblema del legame eterno stabilito dalla comunità ecclesiastica.

Tante sono le storie e le leggende legate al matrimonio, tutte legate alla dolcezza, così “come è dolce il miele, così sia dolce l’amore”, comment’est durche su mele siat durche s’amori, come quelle più ricorrenti che sono legate al cibo e alla festa, proprio perché si differenziano dal consueto e dal quotidiano. Lo sfarzo non manca, le portate sono infinite, il vino scorre a fiumi, ma gli invitati al termine aspettano sempre il dolce e oggettivamente, tra pane e dolci la Sardegna vanta una scelta davvero importante.

La preparazione richiede tempo e personale e immancabilmente si ricorre alla parentela degli sposi. Le cuoche più anziane coinvolgono le nuove forze giovanili, insegnando loro l’arte culinaria e la tecnica di mescolare i preziosi ingredienti. Abili e sapienti gesti modellano pani (pani pintau) e dolci, ottenendo in questo modo delle stupende opere d’arte.

A tal proposito, tra i racconti più originali sul pane, si narra che in passato le fate che dimoravano nelle spelonche is domus de janas,  le case delle fate (caverne scavate nella roccia dalle antiche civiltà dell’Isola risalente a oltre 5.000 anni fa), sedussero una ragazza per insegnarle l’arte di fare il pane rituale. Secondo la narrazione l’impasto iniziale avvenne dentro a utilizzando l’acqua purissima che filtrava dalle pareti rocciose e farina di grano. La ragazza rimase estasiata per l’esperienza che stava vivendo, e le fate con eleganza e atto di ossequio le consegnarono su frommentu, framentu, il lievito madre, con preghiera di trasmettere alla gente l’origine della lavorazione del pane. Infatti, tutt’ora in varie aree dell’Isola è ancora in vita l’abitudine rituale del procedimento di panificazione. Se la storia sul pane ha del fantastico, non è da meno quella sui dolci, a Oliena in Barbagia, ad esempio, di solito era la suocera che offriva il dolce alla sposa, turta ‘e sa ocra, torta della suocera.

A Bortigali in provincia di Nuoro, nei matrimoni era usanza, come lo è tuttora, preparare un dolce delicato che ricorda il fascino e l’armonia della vita rurale: la frissura de latte, latte fritto, simile alla crema fritta ligure. Sempre nel nuorese era, ed è usanza, preparare sos coros e coricheddos nugoresos, i cuori e altri dolci con le sembianze di pesciolini, colombine, foglie e roselline. Il tutto preparato con una sottilissima pasta, pasta violada, la pasta sfoglia dei sardi, modellata con delicati ghirigori, arricchita con un ripieno a base di mandorle, miele e scorze d’arancia. Vere opere d’arte. Però il dolce degli sposi una volta era il gattò o gattòu, dolce croccante. Svariate sono le ipotesi circa la sua provenienza.

In un testo spagnolo della metà del Quattrocento si parla di croccante, facendoci supporre che la sua nascita sia avvenuta proprio nel paese iberico.

Il capo cuoco dell’Ambasciatore d’Inghilterra Francesco Chapusot ne “La cucina sana, economica ed elegante” prima edizione Torino 1846, descrive a pagina 129: “… un mandorlato (nougat) scrosciante da fare scorrere piano, piano dentro a una forma a capriccio, unta d’alcun poco olio e prosegui così fin quando la forma sia piena”.

Con il gattòu in passato si usava riempire degli appositi stampi di latta a forma di pesce e mia zia Iside, esperta dolciaia di San Gavino Monreale (città dell’oro rosso per via dell’importante produzione nazionale di zafferano), mi diceva, che questa operazione voleva essere una forma di rispetto nei confronti delle credenze, che ancora oggi ispirano la nostra vita.

Le storie raccontate su questo delizioso dolce sembrano non esaurirsi, così come quelle di altri dolci caratteristici preparati per i matrimoni. Tra questi è d’obbligo ricordare i gesminus, garminos, germinos, dolci creati con filetti di mandorle glassati e decorati con confettini di zucchero argentati tragera, tragea, dragea, che ricordano le rose del deserto. Un vero capolavoro di raffinata fattura. Da non dimenticate i  pastiyzus, pastissus, camèllie, capigliettas del Montiferru nell’oristanese, pastine reali di mandorle.  pistocus de cappa, biscotti glassati con candida ghiaccia, cappa, biancheddus, bianchinus, bianchissime meringhe classiche. Gallettinas, ciambelleddas, ciambelline a forma di fiore con al centro confettura di frutta o marmellata di arance. Gueffus, palline a base di farina di mandorle, zucchero e acqua fior d’arancio. Amarettus de is sposus, amaretti degli sposi, preparati con farina di mandorle dolci e mandorle amare, albumi, zucchero (in alcune zone aggiungono pure il miele) e acqua fior d’arancio, in passato si utilizzava l’acqua di gelsomino. Tanti altri ancora sono i dolci preparati per i matrimoni, uno in particolare sembra accomunarli tutti ed è sa turta de mendula, la torta di mandorle, dalle decorazioni originali ed impegnative artisticamente, servita alla fine del pranzo nuziale. Da non trascurare il fatto che ogni dolce descritto ha una sua virtù metaforica, e in questa occasione ognuno deve essere perfetto e armonico, proprio come la sposa.
Ingredientis:

kg 1,2 di mandorle già pelate, gr 800 di miele, gr 500 di zucchero comune, 2 cedri maturi non trattati, confettini colorati, zucchero al velo, albume d’uovo, limoncello q.b.

Approntadura:

cospargi un piano di lavoro in marmo con il succo dei cedri filtrato, poi passa le mandorle per un minuto in acqua bollente, quindi scolale, asciugale e tagliale a filetti (se lo preferisci lasciale intere e non farle nemmeno  sbollentare). Deciso la scelta, falle asciugare dentro a una teglia foderata con un foglio di carta oleata in forno già caldo a 130° per qualche minuto. Fatto, poni su fuoco dolce un recipiente dal fondo pesante (il recipiente ideale è il polsonetto di rame di adeguata capacità), tuffaci all’interno il miele e dopo cinque minuti lo zucchero. In una versione di croccante più moderna è prevista l’aggiunta di una cucchiaiata di limoncello. Quando gli ingredienti cominciano a caramellare, unisci poche alla volta le mandorle (otre alle mandorle in diverse regioni utilizzano le nocciole, il sesamo, le arachidi, i pistacchi e pinoli), mescola il tutto in continuazione con un mestolo di legno dal manico lungo, fino a quando il tutto si sarà ben amalgamato, prestando parecchia attenzione per evitare di bruciarti e appena il composto sarà diventato di un bel colore dorato, rovescia l’impasto sul piano di marmo che avevi inumidito con il succo dei cedri. Arrivati a questo punto, allargalo comprimendolo con l’aiuto dei due mezzi cedri tenuti da parte o un matterello dello spessore di un centimetro circa, subito dopo taglialo a rombi velocemente con un coltello a lama pesante, in modo da evitare che il caramello si solidifichi. Terminata questa operazione, decora a piacere il gattòu con dei confettini colorati tragera, tragea, dragea. Vino consigliato: Malvasia di Settimo San Pietro dolce, dal sapore alcolico con retrogusto di mandorle tostate.

RIPRODUZIONE RISERVATA
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