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Editoriale

Dal post alla querela

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di Elena Fadda
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Gli anni ’20 del ventunesimo secolo passeranno alla storia non solo per guerre, fame, pandemia e disuguaglianze ma per una nuova forma di comunicazione, quella veloce, istantanea, senza barriere, con un semplice click.
Facebook, Instagram, Twitter, Tik tok e tanti altri i luoghi o meglio “non luoghi” dove centinaia di migliaia di persone leggono, scrivono, condividono foto, pensieri, esperienze, opinioni comodamente da casa.
Un’informazione rapida, quasi in tempo reale, ritrovare amici e stare in contatto con parenti lontani, i “social” sono strumenti utili se utilizzati correttamente.
Fisicamente distanti ma virtualmente insieme nella stessa stanza a parlare, discutere e molto spesso scontrarsi su posizioni contrastanti.
Ma è proprio nel campo delle opinioni, del pensiero incontrollato, con la sicurezza di sentirsi protetti scrivendo da casa e il sentirsi forti dietro una tastiera, che per difendere una posizione si entra nel campo della sfera personale di una altro utente, con post lesivi della sua sfera privata e personale.
Ed ecco che dal campo dell’informazione si passa alla configurazione del reato di diffamazione ai sensi dell’articolo 595 del codice penale, ancor più aggravato dalla pubblicità.
Con il dilagare dei social network, in particolare Facebook dove nelle proprie bacheche, così nelle pagine e nei gruppi sempre più si condividono post e si commentano i post altrui, quando i messaggi contengono parole lesive della dignità altrui si configura l’ipotesi di “diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook”, reato con l’aggravante della pubblicità poiché si tratta di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di soggetti.
Tradotto significa che nello scrivere e commentare è meglio ponderare le parole senza ledere l’onore e la rispettabilità di una persona o di una attività, sia esso un personaggio pubblico una persona comune, un esercizio commerciale o un’organizzazione, poiché la sanzione per il danno morale arrecato può essere molto pesante.
Il diritto di critica è sempre lecito e doveroso in democrazia ma attenzione a non invadere la sfera personale o professionale del soggetto la cui opinione non condividiamo.

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