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Diocesi di Ales-Terralba

Don Marco Statzu, un teologo prete di campagna

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di Maurizio Onidi
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Don Marco Statzu è direttore della Caritas diocesana di Ales-Terralba, docente di Antropologia Teologica e di Storia della teologia nella Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, direttore dell’istituto di formazione teologica permanente della diocesi di Ales-Terralba. L’otto dicembre del 2019 ha fatto ingresso a Sa Zeppara, frazione di Guspini, come parroco della parrocchia Beata Vergine delle Grazie, quella fra le più estese che comprende i comuni di Guspini, Pabillonis, Mogoro, dove la distanza tra la prima e l’ultima casa è di trenta chilometri e conta 230 abitanti. Terralbese di origine, 42 anni, ordinato sacerdote a 25, nei ritagli di tempo si dedica alla poesia. Nel suo profilo WhatsApp campeggia una frase tanto cara a Cristina Campo “Due mondi / e io vengo dall’altro”.

Il teologo e parroco di campagna come vive questi mondi diversi?

«Ricevetti l’incarico dal vescovo Roberto due anni fa a seguito del collocamento in pensione del mio predecessore. Accettai con molto piacere, consapevole che anche gli abitanti del borgo e delle case sparse hanno bisogno di continuare ad avere una presenza ecclesiale, che ormai tra l’altro è rimasta l’unica presenza istituzionale. Questa chiesa in mezzo alla campagna, una costruzione le cui pietre sono le persone e il cui cemento è la solidarietà. È vero tanti mondi, diversi fra loro dove predicare il Vangelo, che passa attraverso le relazioni tra le persone, che accomuna questi mondi e che si declina in modo diverso».

La vastità del territorio della parrocchia rende più impegnativa la sua opera?

«È senza dubbio un tipo di pastorale differente dalla parrocchia di paese. Doversi muovere in macchina per spostarsi da una famiglia all’altra è più dispendioso in termini di tempo ma ti consente di apprezzare ancora di più la forza è la bellezza della natura e la gioia dei contadini che ti accolgono con piacere quando arrivi per sostenerli con una parola. Data la vastità territoriale della parrocchia che fa capo a tre comuni, la comunità vive situazioni scolastiche e amministrative diverse fra loro che si sono accentuate maggiormente con la pandemia. Una per tutte se pensiamo ai problemi creati agli studenti nel periodo della didattica a distanza a causa della mancata copertura della rete internet nella zona».

La Caritas, ancora un altro mondo?

«Aiutiamo non solo con i viveri, ma puntiamo allo sviluppo integrale delle persone. In questi anni ci stiamo orientando soprattutto sull’emergenza educativa, la dispersione scolastica e i problemi di area socio-pedagogica.  Per sostenere l’economia locale, durante la pandemia, abbiamo istituito il fondo San Giuseppe Lavoratore che, con 250 mila euro messi a disposizione dalla diocesi, ci ha permesso di aiutare le piccole attività fortemente penalizzate dalla crisi. A marzo dello scorso anno in poi abbiamo registrato un aumento crescente delle richieste di aiuto. Le domande sono aumentate all’incirca del 30% rispetto alle persone che già prima si rivolgevano a noi perché non riuscivano a sostenere le spese e ci siamo resi conto che tra queste ce ne erano tante che mai avrebbero pensato di doversi rivolgere alla Caritas o quantomeno di doverci raccontare le loro gravi difficoltà».

Il docente di teologia?

«La fede è incarnazione, sono le tue mani, i tuoi occhi, i tuoi incontri. Se non c’è incarnazione non c’è vita, non c’è fede, non c’è teologia».

Nei ritagli di tempo riesce a dedicarsi anche alla poesia
«Scrivo poesie, cerco Dio tra gli uomini e l’umanità in Dio. Tento di vivere in un eremo che si fa casa accogliente per chi cammina e fatica. Coltivo un orto e la mia anima».

 

RIPRODUZIONE RISERVATA
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