di Alice Bandino*
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Questa estate viene descritta dagli esperti come una delle più calde degli ultimi anni, a meno di un’inversione sul finire che li smentisca, a livello meteorologico ma non solo. I frequentatori dei Social e (in generale) chiunque si interessi del “clima” politico e sociale, avranno osservato o sperimentato il susseguirsi di eventi carichi di emozioni e contraddizioni, specchio dei tempi che stiamo vivendo (imprevedibili come il clima) e distintivi di una nuova tendenza fatta nel bene e nel male, di condivisione di emozioni: emozioni urlate o sussurrate, populistiche o radicali, positive o negative che siano, oggi i Social danno la possibilità a chiunque abbia una connessione, di accedere a conoscenze e fatti anche senza spostarsi dalla propria casa e/o dalla propria zona di comfort e di rielaborare queste informazioni in base alle proprie capacità.
Così, poco prima di Ferragosto, la notizia della scomparsa della giovane giornalista/conduttrice Nadia Toffa, ha creato una sorta di disorientamento tra gli utenti della rete e le loro competenze emotive, con la diffusione virale di post carichi di emozioni correlate alle malattie, alla morte e al senso della vita: “Come poteva stare così male se fino a poco tempo fa rideva e scherzava, bella, pettinata e truccata?” azzarda qualcuno.
Gli operatori, i parenti, gli amici che hanno a che fare in prima persona con pazienti oncologici hanno, secondo me, una grande occasione a livello umano e professionale che non a tutti è concessa e che non andrebbe sprecata: sperimentano tutto il ventaglio di emozioni che accompagnano le diverse fasi della patologia, dalla comunicazione della diagnosi, alla proposta del piano terapeutico fino all’eventuale “guarigione” o all’eventuale prematura scomparsa. Non uso volutamente la parola vittoria o sconfitta, perché ho imparato grazie ai pazienti, a non definire vincente chi non muore e perdente chi muore. Nadia Toffa definiva lei e gli altri pazienti come dei “guerrieri” e ha più volte dovuto spiegare il significato che lei dava a questa parola essendo stata spesso definita troppo ottimista o troppo squilibrata, troppo felice e poco emaciata, spesso criticata, travisata e incompresa per troppa superficialità o per troppa “ignoranza” di chi giudica; lei definiva il cancro come un dono ma non come un regalo, un dono inteso come occasione per dare un senso al resto della propria vita. In una sua intervista aveva ribadito come la malattia sulla propria pelle la stesse rendendo una persona più emotiva, più empatica e appunto più guerriera: anche se le sue inchieste giornalistiche l’avevano portata, in passato, a passare qualche giorno con vittime di patologie gravissime correlate ad esempio all’inquinamento e a condividerne in trasmissione la storia e la sete di giustizia (o quella di parenti sopravvissuti al paziente), dichiarava di essere stata solidale ma di aver capito realmente le loro emozioni ammalandosi e frequentando a lungo i reparti di cura oncologica, soprattutto quelli pediatrici, gli hospice, i gruppi di auto- sostegno e le innumerevoli confidenze loro e dei loro cari. Lei dopo un anno e mezzo dalla diagnosi è morta a quarant’anni: lei come tanti altri non è riuscita a vivere una vita lunga, lei come tutti noi non sapeva quanto sarebbe vissuta e come chiunque, ha scelto come meglio reagire; quando la vita pone degli ostacoli così grandi davanti a chi magari aveva tutt’altri progetti futuri e alle loro famiglie, la prima reazione emotiva è di sorpresa, sconforto, paura, tristezza, incredulità, rabbia, disperazione. Carattere, personalità, esperienze e cultura son tra le variabili che determinano la reazione alla patologia e della gestione del tempo che resta. Nessuno può giudicare reazioni e tempistiche di fronte alla malattia o alla morte: le emozioni sono soggettive, ci son persone che cercano di vivere positivamente e al meglio giorno per giorno il tempo che resta e altri che rifiutano di farlo; non c’è un modo giusto di reagire. Spesso la società crea delle “tappe” con tempistiche precise da seguire nei confronti del fine vita: tutto giusto e condivisibile in teoria, un po’ meno nella pratica. Le emozioni son talmente soggettive che da sole basterebbero a eliminare pregiudizi e tempistiche, aggiungiamoci i bagagli di esperienze di vita, di cultura e di personalità e ci accorgeremo di quanto sia impossibile davanti al dramma, decidere il “come” e il “quando” si debba vivere. I guerrieri son così, a volte vincenti e a volte perdenti ma pur sempre motivati e agguerriti nel prendersi ogni attimo che la vita concederà loro, breve o lungo che sia, sempre vivendo, raramente sopravvivendo per seguire dogmi e teorie anacronistiche o universali decise da altri.
“Fiorire d’Inverno” è il libro scritto da Nadia Toffa, perché la vita non è fatta solo di primavere: esistono le malattie, le disgrazie, i dispiaceri e le brutte esperienze ed è allora che deve emergere il guerriero che è in noi, sempre a spada tratta.
*psicologa, psiconcologa
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