di Maurizio Onidi
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Un tema da sempre dibattuto e sul quale esistono molte scuole di pensiero. Può il politico, nell’adempiere al suo incarico avere una condotta differente dalla comune morale? Sandro Pertini, il presidente partigiano affermava “Non esiste una moralità pubblica e una morale privata. La moralità è una sola, perbacco, e vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende non è un politico. È un affarista, un disonesto”.
Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano che nella famosa intervista del 1981 rilasciata a Eugenio Scalfari affrontò lo spinoso tema della “questione morale”, stigmatizzava il comportamento di una certa classe politica interessata più a gestire “interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.
Jean Paul Sartre, scrittore, filosofo e drammaturgo, nel suo famoso dramma “Les mains sales” fa sostenere a uno dei suoi interpreti la tesi che “chi svolge un’attività politica non può fare a meno di sporcarsi le mani (di fango o anche di sangue)”.
Norberto Bobbio, filosofo del diritto, storico e senatore a vita, in relazione al rapporto etico-morale con la politica ha un approccio definito “Per quanto […] la questione morale si ponga in tutti i campi della condotta umana, quando viene posta nella sfera della politica assume un carattere particolarissimo”.
Da cosa dipende questo “carattere particolarissimo”? Dal fatto che si potrebbe dubitare che sia plausibile porsi il problema della moralità riguardo alla condotta politica. Addirittura, si potrebbe arrivare a sostenere la “legittima” immoralità della politica stessa, se tale vuol essere.
Il dibattito continua
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