di Sandro Renato Garau
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“Sant’Antoni miu bellu” nasce a Lisbona, ci informa Vergilio Gamboso (minore conventuale), e visse “in un tempo lontano più di otto secoli”. Ci dice anche che il padre si chiamava Martino, la madre Maria e che il nome di battesimo era Fernando. La prima biografia appare dopo la sua morte al momento della canonizzazione. Molte le leggende, scarse le notizie. L’adolescenza è il momento di formazione che lo fa diventare cavaliere fedele al sovrano Sancio I.
La cavalleria non era, però, l’ambiente che rispondeva alle sue aspettative. Potremmo dire che gli stava stretto. Le tentazioni narrate nelle varie biografie e la resistenza a esse sin dalla giovinezza mettono in evidenza un carattere forte che vuole poter scegliere dove indirizzare la sua vita. A Lisbona, da giovanissimo, frequenta l’abbazia di san Vincenzo, dei canonici regolari di sant’Agostino. Il giovane appare subito impulsivo, anche se molto riflessivo. Comunque, si veste del bianco abito degli agostiniani lasciando la famiglia. Possiamo pensare che gli aristocratici e ricchi Martino e Maria ci siano rimasti male. Come tutti i genitori avevano progettato una vita diversa per il figlio. Era il 1210. Troppo traffico in convento, troppe le visite di personaggi importanti e le distrazioni per uno che cerca di fare chiarezza e di trovare la via da percorrere. Chiede al priore Gonzalo di essere trasferito. È accontentato e mandato a Coimbra nell’abbazia di santa Croce.
Nel 1212 è ordinato sacerdote. L’autore della vita di sant’Antonio racconta le vicende tristi del monastero, le liti, le divisioni che non erano congeniali a Ferdinando.
Nel 1219 incontra i francescani. L’incontro rimette in discussione la scelta agostiniana.
Da prete, irrequieto e riflessivo, ancora una volta, si chiede se quella intrapresa sia la strada giusta. I frati, mandati da Francesco d’Assisi in Marocco a evangelizzare i saraceni, vengono da questi martirizzati. Un esempio per Fernando. Desidera anche per lui il martirio. Chiede i permessi necessari al suo priore agostiniano e nello stesso tempo chiede al provinciale francescano Giovanni Parenti di diventare frate. È il 1220. Cambia anche nome facendosi chiamare Antonio. Le vicende successive raccontano che dopo emessa la professione parte in Marocco. I biografi ricordano che era un uomo di preghiera, ma gli riconoscono che è anche un pensatore, uno assalito da molti dubbi. “Lui stesso sa di essere stato generoso, ma… precipitoso nelle scelte …in realtà, era uscito dagli agostiniani e aveva indossato il saio francescano per seguire l’impulso, nobile, ma puramente umano, che gli veniva dal cuore. Alla riflessione seguì l’accettazione umile della volontà di Dio”. (Vita Prima)
Il clima africano non gli giova, decide di tornare a Coimbra ma durante il viaggio una tempesta fa naufragare la nave sulla quale viaggia in Sicilia. Da lì intraprende il viaggio verso Assisi dove partecipa al capitolo dei francescani e conosce Francesco d’Assisi ormai infermo. L’incontro con fra Graziano, superiore di Romagna, è un altro tassello della sua vita. Antonio è sacerdote, a Montepaolo vicino a Forlì, hanno bisogno di un frate prete. Ma rimane sempre lui, nonostante lavasse i piatti e si applicasse ai servizi più umili era uomo di preghiera, studio e riflessione, soprattutto in un secolo dove la chiesa aveva bisogno di persone autentiche e, se vogliamo indomite, austere ma non conformiste, “insoddisfatte della mediocrità”.
Dei miracoli, prima della morte si hanno poche notizie frammentarie, dopo fioriscono e sfioriscono, crescono e diminuiscono come per qualsiasi santo trascinati dalla pietas popolare. La storia ci dice che fondò anche dei conventi. In Francia, a Limoges, nei terreni dell’abbazia benedettina di San Martino e un altro presso Brive nella stessa zona.
È evidente che per Antonio da Lisbona l’incontro con Francesco d’Assisi, che muore il 3 ottobre 1226 deve essere stato significativo. Hanno potuto godere l’uno della presenza dell’altro.
Perché da Padova? Il vescovo di Padova Iacopo Corrado, che guardava con simpatia i francescani, “donò ad Antonio un terra, dove fu aperto un conventino”, era il 1230. Anche qui raccontano continuasse con la sua solita litania che “il prepotente non poteva rubare al povero, che si era tutti uguali, che la violenza chiamava violenza. … e poi…A nulla valgono le preghiere, anche se giuste, in cuori privi di carità”. (Vita Prima) Un uomo difficile???
Il 1231 è quasi la fine. L’uomo di Dio, predicatore instancabili, esigente con sé stesso prima che con gli altri viene descritto così “Per un uomo come Antonio, abituato a pretendere dal suo fisico uno sforzo costante e intenso, l’inerte spossatezza che lo invade di giorno in giorno è sintomo che non permette dubbi. Infermo lo era da anni…. Respirava ansimando, le membra deformate dall’idropsia… Notti insonni di un povero idropico. Il respiro gli veniva a fatica, mentre il capo gli doleva come stretto da una morsa. Talvolta lo sorprendevano le vertigini, e tutto il corpo era agitato da movimenti convulsi. Lo stomaco ricusava gli alimenti, e la mente, subito affaticata, gli si offuscava. … mentre il pensiero vagava, riandando atto per atto, alla presenza di Dio, la sua breve esistenza: breve, ma straordinariamente intensa.”. (V. Gamboso, Vita di sant’Antonio)
Antonio morirà nel 1234. La visione che ebbe prima della sua morte nella Cella sul Noce è l’ultimo atto. “Si ritiene che, durante una di queste nottate tormentose, il Santo sia stato favorito da una grazia meravigliosa, quasi viatico di consolazione nell’ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra. Stava assorto nella contemplazione, quando una luce irruppe a trasfigurare la misera cella e da quell’alone fiorì Gesù in forma di infante. L’ospite divino si accostò sorridendo al suo amico, con la piccola mano accarezzandogli la fronte”.
L’episodio è raccontato dal suo amico, il conte Tiso, che veniva a trovarlo alla Cella sul Noce.
Dell’affetto che molte genti hanno per Antonio è inutile scrivere. Quello che si può osservare è la pietà, la simpatia, l’affetto, il rispetto, la devozione che le comunità di molte parti del mondo hanno per (Fernando di Lisbona) Antonio da Padova. Ognuno vive questi sentimenti intensamente, a modo suo, anche quest’anno quando dalla chiesa di san Sebastiano in Arbus, dopo la messa del mattino del sabato, la statua del di Antonio inizierà il suo pellegrinaggio, seguito da carri a buoi e da altri mezzi addobbati a festa, passando per Guspini, sino alla chiesetta a lui dedicata, quella che si affaccia nel piccolo stagno della frazione di Santadi.
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