di Francesco Diana
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Prima di affrontare l’argomento prescelto, appare più che mai opportuno richiamare l’attenzione dei viticoltori, in particolare, su quella che fu la più grave infestazione di portata storica, che portò all’azzeramento della superficie vitata in Europa e in Italia, in particolare: La Fillossera della vite.
Conosciuta con nome scientifico di “Daktulosphaira vitifoliae” o “Viteus vitifoliae”, fu importata dagli Stati Uniti con materiale vivaistico infetto intorno alla metà dell’ottocento e si diffuse in modo così virulento, da causare la completa distruzione dei vigneti fin dalla fine del 1800.
Tale parassita, un afide, agisce prevalentemente sulle radici della pianta; pungendole a ripetizione, origina galle nodose di notevoli dimensioni che, impedendo l’assorbimento della linfa, determinano la morte della pianta. L’afide agisce anche sulle foglie, dove compaiono delle galle tondeggianti che, in relazione alla loro ampiezza e diffusione, ne compromettono le funzioni proprie.
In relazione a tale specifica azione, la vite europea è particolarmente soggetta a infezioni radicali, mentre quella americana, resistente alle infestazioni radicali, appare più vulnerabile agli attacchi fogliari.
Per questi motivi, tutti i nuovi impianti realizzati a partire dal 1900, sono avvenuti utilizzando barbatelle americane, sulle quali è stato innestato il vitigno europeo. Ogni tanto, anche nei vigneti nostrani, capita di osservare qualche foglia che presenta delle galle tondeggianti proprie della Fillossera; la cosa, però, non allarma più di tanto.
In alcune aree dell’Europa meridionale e del Italia settentrionale, invece, il fenomeno si sta presentando con maggiore frequenza, tale da mettere in allarme tutti gli Istituti di Ricerca. S’ipotizzano, in proposito, sopraggiunte modificazioni genetiche del fitofago che renderebbero inefficaci le precauzioni finora adottate.
Per questi motivi si stanno testando nuovi sistemi di lotta chimica nei confronti dell’insetto, allo scopo di non giungere impreparati di fronte a un’eventuale recrudescenza del male.
Tutto ciò premesso, doveroso anche per la sua importanza storica, ci soffermeremo su altri fitofagi della vite, scelti fra i cinquanta circa che agiscono sui nostri vigneti, in relazione ai danni che producono. Proprio per questo, limiteremo perciò la nostra analisi a soli tre fitofagi:
“La Tignoletta”, “La Cocciniglia farinosa” e “La Cicalina verde”.
Conosciuta col nome scientifico di “Lobesia botrana”, è una piccola farfallina di cinque millimetri circa di lunghezza, di colore grigio, con macchie brunastre che le conferiscono un aspetto marmoreo.
Il ciclo biologico presenta in media 3/4 generazioni/anno, secondo l’andamento stagionale, poiché predilige temperature medie intorno ai 25°C e valori di umidità relativa compresi fra il 40 e 70%.
Ogni femmina depone circa 50/90 uova che, schiudendosi, originano delle larve fameliche che danneggiano sensibilmente le diverse parti del ceppo. La prima generazione agisce sul fiore, con gravi danni all’intera inflorescenza, mentre le successive gravitano sul grappolo; l’uovo depositato all’interno dell’acino dall’insetto adulto, schiudendosi produrrà la larva famelica che comincerà a nutrirsi della polpa, passando da un acino all’altro fino a invadere l’intero grappolo. Ovviamente è questa la generazione più pericolosa in quanto, procurando lesioni sull’acino, favorisce l’uscita di sostanze zuccherine sulle quali vanno a insediarsi muffe e virus.
L’ultima generazione “impupa” e sverna nelle screpolature della corteccia, per poi dare origine alla prima generazione dell’anno successivo.
Fra le caratteristiche salienti dell’insetto, riteniamo utile ricordare che l’adulto, predilige il tramonto o le prime ore della notte per svolazzare e compiere percorsi anche superiori ai due chilometri. Altrettanto utile è sapere che la Tignoletta si sviluppa e agisce anche su certe essenze spontanee quali, ad esempio “Il Gnidio”, in zona conosciuto come “Su Truiscu”.
Il primo importante sistema di lotta preventiva consiste in una oculata gestione agronomica del vigneto, La potatura verde, ad esempio, aprendo adeguatamente la chioma, permette di esporre i grappoli ai raggi del sole che, oltre a limitare sensibilmente la schiusura delle uova, determina un inspessimento della cuticola degli acini, che costituisce una valida barriera all’ovodeposizione.
La lotta biologica, attuata attraverso l’impiego del “Bacillo Thuringensis”, da sola non è in grado di arginare gli effetti dannosi del parassita.
E’ indispensabile, quindi, intervenire anche con la lotta chimica che, è bene ricordare, è rivolta solo esclusivamente alla larva, per evitare il proliferare delle successive generazioni. Allo scopo vengono utilizzati prodotti chimici di sintesi, disponibili sul mercato con diverse formulazioni. Per la qualcosa, appare indispensabile l’utilizzo delle trappole, al fine di accertare la presenza dell’insetto adulto.
I primi trattamenti, infatti, dovrebbero iniziare dopo il decimo giorno dall’apparizione dei primi voli, da eseguire al tramonto per evitare gli effetti negativi dei raggi solari.
Le particolari caratteristiche dell’insetto consigliano l’esecuzione dei trattamenti anche nei vigneti confinanti.
CICALINA VERDE
Conosciuta col nome scientifico di “Empoasca vitis” e “Jacobisca Lybica”, è un insetto di piccolissime dimensioni, in media 2,5/3,5 mm, di colore variabile dal giallognolo al verdastro, con macchie bianche sul dorso e sulla testa.
Il suo ciclo biologico presenta 3/5 generazioni l’anno, compatibilmente con l’andamento stagionale.
I danni prodotti si manifestano nel periodo estivo, con evidenti bollosità della foglia e accartocciamento dei margini della stessa, che portano al successivo disseccamento.
Tutto ciò può portare a una imperfetta maturazione del legno che, negli anni successivi, darà origine a un ritardo nella germogliazione delle gemme e alla produzione di germogli con internodi raccorciati e spesso con andamento a zig-zag.
Per quanto riguarda la lotta specifica, valgono le informazioni suggerite per la Tignoletta.
COCCINIGLIA FARINOSA DELLA VITE
Conosciuta col nome scientifico di “Planococcus ficus”, trattasi di un insetto di piccolissime dimensioni, con la femmina di circa 3/4 mm, di colore variabile dal giallognolo al rosa, e il maschio, un po’ più piccolo, di colore rossiccio. Ogni femmina, che produce fino a 250 uova, deposita le stesse su apposite ooteche. Compie fino a quattro generazioni l’anno.
Come precisato per la tignoletta, anche questo insetto vive su molte essenze spontanee per poi migrare sulla vite. Sulla vite, concentrandosi inizialmente alla base della foglia, punge ripetutamente i tessuti sottostanti per sottrarne la linfa, a scapito della pianta che ne subisce le conseguenze. L’addensarsi della cocciniglia sulle parti verdi della pianta determina, inoltre, una ridotta attività fotosintetica. I danni maggiori, però, provengono generalmente dalla terza generazione a danno del grappolo, fase in cui l’insetto, forando gli acini per succhiarne i contenuti, determina una fuoruscita di melassa e sostanze cerose che creano l’ambiente ideale per l’attacco da parte di virus e muffe che danneggiano irrimediabilmente il prodotto.
Per quanto riguarda la lotta specifica, anche per questa specie valgono le informazioni suggerite per la Tignoletta.
In conclusione, un suggerimento finale per quanto riguarda l’impiego degli insetticidi chimici, specie se sistemici:
– rispettare sempre le indicazioni scritte nel contenitore;
– non usare dosi inferiori, poiché potrebbero selezionare ceppi resistenti al principio attivo, oltre a essere inefficaci;
-non usare dosi superiori perché ciò, oltre a costituire in danno economico, non migliora l’efficacia del prodotto e potrebbe lasciare residui di principio attivo, tali da costituire un serio pericolo per l’uomo;
– usare sempre attrezzature in perfetto ordine, capaci di polverizzare al massimo le particelle della soluzione irrorata.
Un ultimo chiarimento riguarda la corretta interpretazione delle indicazioni contenute sull’etichetta del prodotto commerciale, relativamente alle dosi da impiegare per ciascun trattamento, molto spesso oggetto di errate interpretazioni; “le indicazioni sull’etichetta si riferiscono, in genere, all’impiego di mille litri di acqua per ettaro. Il che significa, che se del prodotto in uso, ad esempio, se ne consiglia l’impiego in ragione di 300 grammi per ettolitro, la dose complessiva da utilizzare a ettaro sarà di Kg 3”.
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