di Lorenzo Di Biase
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Riscoprire il Martire della Repubblica Giacomo Matteotti non significa soltanto illuminare la figura del primo vero oppositore di Mussolini ma anche analizzare l’ascesa della politica fascista e il progressivo diffondersi di una violenza di regime, culminata nella morte del primo segretario del partito socialista unitario. Egli è stato insignito della qualifica di Martire della Repubblica dalla Legge 1069 del 1955.
La sera del 3 ottobre 1922, pochi giorni prima della MARCIA SU ROMA del 27-31 ottobre 1922, il XIX Congresso del Partito Socialista Italiano espulse i gradualisti di Filippo Turati dal partito, con l’accusa di aver violato il divieto di collaborazione con i partiti borghesi. Il giorno dopo Turati diede quindi vita, insieme a Giacomo Matteotti, Giuseppe Emanuele Modigliani e Claudio Treves, al Partito Socialista Unitario, di cui Matteotti fu nominato Segretario. Ricordo che l’anno prima a Livorno si era registrata la separazione tra i socialisti e i comunisti. Nelle successive elezioni politiche del 1924, svoltesi con il nuovo sistema maggioritario della cosiddetta “Legge Acerbo” che garantiva alla lista più votata che avesse conseguito almeno il 25% dei voti un enorme premio di maggioranza pari al 65%, il PSU si presentò autonomamente, risultando più votato, con circa 423.000 voti (5,9%) e 24 deputati alla Camera, rispetto alle liste dei socialisti di Serrati (4,9%) e dei comunisti (3,8%). Nelle stesse elezioni i fascisti ottennero la maggioranza assoluta nell’Italia del Sud, mentre nelle città del Nord i partiti antifascisti ottennero numerosi successi. Avendo comunque ottenuto il 66% dei voti totali, il listone proposto da Mussolini si aggiudicò 374 deputati, la maggioranza assoluta, indipendentemente dalla Legge Acerbo. Tuttavia, il risultato di dette elezioni fu in gran parte influenzato da una serie di violenze, illegalità ed abusi commessi dalle milizie fasciste contro esponenti e militanti degli altri partiti. Il 30 maggio 1924, durante la prima seduta della nuova legislatura alla Camera dei deputati, Giacomo Matteotti prese la parola e, citando fatti ed episodi circostanziati di violenza in danno delle opposizioni, contestò con forza la validità delle elezioni, delle quali chiese l’annullamento. Matteotti denunciò le bastonature ai candidati avversari, i seggi elettorali composti di soli fascisti, i rappresentanti di lista impediti di entrare nei seggi stessi. Dimostrò, inoltre, come in sei circoscrizioni elettorali su quindici le firme da apporre davanti ai notai avvennero senza alcun controllo legale. Fu a tutti gli effetti un discorso di denuncia e il suo autore ne era consapevole, tanto che a chi si congratulò con lui rispondeva: “E adesso potete preparare la mia orazione funebre”.
Tale incisiva denuncia, infatti, fu fatale per il segretario del PSU che, il 10 giugno successivo, venne rapito e il giorno stesso ucciso da una banda di squadristi fascisti, veri e propri delinquenti della peggior specie. Il 10 giugno 1924 Matteotti era uscito di casa a piedi per dirigersi verso Montecitorio. Con lui aveva una borsa di pelle piena di documenti di cui non fu mai ritrovata traccia. Mentre percorreva il lungotevere Arnaldo da Brescia, secondo le testimonianze raccolte, un’auto tipo Lancia era lì ferma ad aspettarlo. A bordo i suoi aggressori identificati, in seguito, come i membri della polizia politica “Ceka”: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Questi uomini erano i componenti della cosiddetta “Ceka”, un corpo speciale agli ordini del vertice fascista che veniva impiegato contro avversari che si dimostrassero particolarmente ostili. Fu già stato utilizzato per azioni nei confronti di alcuni fascisti dissidenti e di deputati liberali e repubblicani. A organizzare e far funzionare la “Ceka” erano il capo ufficio stampa della Presidenza del consiglio Cesare Rossi e il segretario amministrativo del Partito nazionale fascista Giovanni Marinelli. L’attività della Ceka, tuttavia, non poteva avere luogo senza l’ausilio di uomini di vertice, quali il capo della polizia Emilio De Bono, il quale forniva documenti falsi, garantendo coperture e impunità. Dopo alcuni giorni di cui non si avevano notizie del Matteotti, il 13 giugno 1924 sarà Filippo Turati ad informare in Parlamento della sua scomparsa. In forma di protesta contro il rapimento e l’assassinio del deputato socialista, tutta l’opposizione parlamentare si ritirò sul cosiddetto Aventino. Seguono mesi di braccio di ferro, in cui il governo fascista sembrò sul punto di capitolare.
Il cadavere di Matteotti venne ritrovato a due mesi dalla scomparsa, il 16 agosto 1924, nel bosco della Quartarella, a una ventina di chilometri dalla Capitale. Ma vi è stata anche la tesi “affaristica” per cui l’omicidio venne ordinato per evitare che il deputato Matteotti svelasse all’intera Italia le tangenti nel così detto affare Sinclair.
Lo scandalo dei petroli, fu un caso di corruzione avvenuto in Italia nella primavera del 1924. Secondo alcuni giornali dell’epoca, esponenti del parlamento e del governo italiano avrebbero infatti ricevuto tangenti da parte della società petrolifera Sinclair Oil, per l’ottenimento di concessioni petrolifere sul territorio italiano. Il 29 aprile il governo italiano aveva concesso alla società petrolifera americana “Sinclair Oil” l’esclusiva di 50 anni per la ricerca e lo sfruttamento di tutti i giacimenti petroliferi presenti in Emilia e in Sicilia. Le richieste della compagnia petrolifera per poter effettuare scavi in ulteriori territori della penisola prevedevano condizioni estremamente vantaggiose per la Sinclair stessa, come la durata di 90 anni delle concessioni e l’esenzione da imposte. Mussolini in persona decise alla fine di cancellare gli accordi con la “Sinclair Oil” nel dicembre dello stesso anno, anche a causa delle contrastanti opinioni emerse nella commissione parlamentare che doveva approvare la convenzione.
L’ipotesi è che dietro alla concessione ci fosse stato un pagamento di tangenti, e si mormorava di un coinvolgimento diretto di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Tesi affaristica per la quale non furono mai trovati riscontri oggettivi. Una volta ritrovato il corpo di Giacomo Matteotti e terminate le analisi mediche per la sua identificazione la salma fu messa a disposizione della famiglia e, per volere della moglie Velia Titta, il 21 agosto la stessa fu traslata in forma privata a Fratta Polesine dove si celebrarono i funerali. Oggigiorno la tomba di Giacomo Matteotti, Martire della repubblica, si trova di fronte all’ingresso principale del cimitero di Fratta Polesine nella cappella di famiglia.
La seconda metà del 1924 trascorse in modo turbolento e quasi si ebbe l’impressione che il governo fascista potesse cadere e dimettersi. Ma resistette alla pressione degli organi di stampa e delle organizzazioni della sinistra, sia nazionali che internazionali. A pochi giorni dell’inizio del 1925 Mussolini tenne un discorso nell’assemblea parlamentare che determinò in seguito il cambio di rotta del governo portandolo nella direzione del regime fascista. In quel discorso, tra l’altro, Mussolini ebbe a sostenere che: “Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato una associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi.
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