di Rinaldo Ruggeri
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Quando si vuole demolire un progetto si programma il suo annientamento per tempo e con persistenza; è quello che sta succedendo al reddito di cittadinanza.
Finalmente l’Italia, al pari dei paesi europei più avanzati, si è dotata di una legislazione che fornisse un reddito ai poveri, ai meno abbienti.
Subito la stampa, quella che si autodefinisce libera, quella che non vede una trave nel proprio occhio, è andata alla ricerca del moscerino nell’occhio del “poveraccio”.
Meno di un milione e cinquecentomila famiglie italiane percepisce il reddito di cittadinanza per un costo complessivo annuo che si aggira a circa un miliardo di euro.
Questi solerti giornalisti, alla ricerca dello scoop, hanno scoperto immediatamente che alcuni mafiosi e truffatori lo percepivano, conclusione il reddito di cittadinanza va abolito.
Altra chicca è quella, che chi percepisce il reddito non va a lavorare in alcuni settori, vedi turismo e agricoltura.
In questi ambiti lavorativi, forse, non si trova personale, perché non si rispetta l’orario di lavoro e la retribuzione contrattuale.
Il reddito di cittadinanza, si dice, incentiva il lavoro nero.
Se si rispettano le regole credo che sia impossibile che ciò avvenga, è quando si violano, da ambo le parti, che ciò avviene.
Il lavoratore, in questo scenario di truffa, è l’anello debole che deve subire, per bisogno, l’arroganza e la prepotenza di certi datori di lavoro.
Tornando ai nostri diligenti giornalisti, alla loro miopia intellettuale, e al loro agitarsi nei rigagnoli della truffa, possibile, che nel corso degli anni, non si siano accorti che il reddito di cittadinanza costa alle casse dello Stato un centesimo rispetto alla evasione complessiva del sistema Italia?
Mai, da quei pulpiti, è venuta una campagna giornalistica puntuale e puntigliosa che denunciasse la truffa degli evasori.
Mai da quei pulpiti è venuta una richiesta di pene più severe per chi truffa il bene comune, e quindi lo Stato, come avviene in tutti gli Stati democratici e liberali.
La verità, qualcuno non vuole ammetterlo, è che si tollerano i ricchi truffatori e si odiano i poveri.
Nella cultura di parte della popolazione italiana vi è un rifiuto a includere l’indigente nella comunità; quando si fa, si fa con quel pietismo becero e ipocrita.
In sostanza, si tende a giustificare il ricco per le sue malefatte e si è intolleranti verso il povero.
Questa cultura viene da lontano.
Ricordo, in paese, negli anni ’50, quando ancora il grano si mieteva a mano, che sul sagrato della chiesa stazionavano i mietitori, che provenivano dai paesini della Marmilla, e offrivano il loro lavoro ai possidenti locali.
Quei braccianti non venivano, certamente, trattati con carità cristiana, come si conviene al luogo in cui sostavano ma, spesso insultati e sbeffeggiati.
Per non parlare del vito e dell’alloggio che a loro veniva riservato.
Anche oggi si percepisce questo disprezzo verso i poveri propagata dai soliti pennivendoli.
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