RUBRICA STORIA DI CASA NOSTRA

Guspini, 1774: un caso di malasanità del 1774

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di  Marino Melis

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Tra le carte dell’“Ordinarium” custodite nell’Archivio Diocesano di Ales, si strovano alcuni interessanti documenti che ci danno uno spaccato sullo stato della medicina e della chirurgia nella Sardegna della seconda metà del 1700. Il tutto nasce da un fatto di sangue avvenuto a Guspini, dove in una rissa rimase gravemente ferito un paesano, tale Serchy. Sarebbe rimasto uno degli innumerevoli misfatti che si perpetravano giornalmente in tutti gli angoli della nostra isola, se non fosse stato per i risvolti che ne seguirono, e che videro coinvolti luminari della medicina, chirurghi, professori universitari, fino a provocare un attrito tra il vescovo di Ales, mons. Giuseppe Maria Pilo, e il vicerè Lorenzo della Marmora.

Dalla corrispondenza intervenuta tra il prelato e la più alta carica politica dell’isola, sappiamo che fu accusato (forse ingiustamente), del ferimento tale Antioco Luna che per sfuggire alla cattura si rifugiò nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò. In spregio del diritto d’asilo i ministri di Giustizia di Guspini penetrarono nel tempio, traendo prigioniero il Luna che fu condotto in catene al famigerato carcere della torre di S. Pancrazio a Cagliari.

La profanazione della chiesa suscitò le ire del vescovo, che appellandosi al Piissimo Sovrano chiedeva si mettesse riparo alla grave offesa e si restituisse il Luna all’eventuale giudizio del tribunale ecclesiastico. Non solo, Mons. Pilo prese decisamente le difese dell’accusato presentando perizie e memoriali che confutavano le tesi della giustizia ordinaria, che scaricava sul Luna la responsabilità della sopraggiunta morte del Serchy.

La ferita da arma da taglio riportata dal Serchy alla carotide, non si rivelò mortale grazie anche all’immediato soccorso dei compaesani che riuscirono a tamponarla. Trasportato a casa fu assistito dal chirurgo Musconieri, che dopo un sommario intervento di pulizia lo lasciò alle cure del barbiere Raimondo Frau, a cui diede la prescrizione delle cure e i medicinali da somministrare. C’è da dire che a quell’epoca i barbieri erano assimilati ai chirurghi potendo operare piccoli interventi, salassi e somministrare medicine. Se non che il povero barbiere era un illetterato che non conosceva manco le misure di peso, per cui possiamo immaginare con quale arbitrio poteva dosare le quantità delle medicine. Fatto sta comunque che il ferito sembrava migliorare di giorno in giorno, tanto che passeggiava tranquillamente per la casa, e un giorno voleva addirittura andare in chiesa per assistere ad un battesimo.

All’ottavo giorno però le cose precipitarono, il ferito fu colpito da una emorragia provocata dalla tosse, per cui intervenne il chirurgo Musconieri che dopo aver raccolto una scodella di sangue, praticò imprudentemente quattro successivi salassi, tanto che il Serchy se ne morì.

La rivista del cadavere fatta dal Podestà di Guspini e tre chirurghi tra cui il Musconieri, evidenziò come la morte sopravvenne come conseguenza della ferita alla carotide. L’autorità ecclesiastica volle vederci chiaro, e contestò subito queste conclusioni chiedendo il parere di un valente chirurgo tale Bartholomeo Melis di Segariu, che fu chiamato dai familiari del Serchy quando videro il loro congiunto sul punto di morire. Questi diceva che innanzitutto ancora non si era individuata l’arma del delitto, che la prima relazione sul ferito fatta dal chirurgo Musconieri non parlava di ferita mortale, ma la cita soltanto dopo aver effettuato la rivista del cadavere. A dire del chirurgo Melis questo fatto nascondeva la vera realtà, e cioè che il Serchy non morì in seguito alla ferita, ma a causa dell’intervento del Musconieri, che abbandonò il poveretto nelle mani di un barbiere illetterato, e non si era certi neppure che la carotide fosse recisa dal colpo subito, o piuttosto dalle manipolazioni eseguite sul cadavere.

Il Supremo Magistrato della Reale Udienza che doveva giudicare il caso chiese il parere di tre illustri professori dell’università di Cagliari. Non conosciamo la relazione, ma Mons. Pilo contestò le loro conclusioni asserendo che i professori non avendo visto il ferito basavano le loro asserzioni esclusivamente sulla perizia fatta del cadavere da chirurghi e barbieri ignoranti e inesperti oltre che illetterati.

A sua volta il vescovo di Ales chiese il parere di un valente medico di cui non conosciamo il nome, che con dotte e argomentate ragioni arricchite da citazioni su opere dei principali studiosi di medicina e chirurgia dell’epoca, confutava le ragioni edotte dai tre professori. Fa una precisa disamina sui diversi tipi di ferite che lui distingue di tre specie: quelle mortali (come ad esempio una ferita all’aorta che in nessun modo può porvi rimedio il chirurgo); quelle che lasciate al loro arbitrio cagionano la morte del ferito, ma se adeguatamente curate possono portare alla guarigione (come nel caso di ferite al cranio che si guariscono coll’operazione del trapano); Il terzo tipo di ferite è quello che per accidente o per trascuratezza,o ignoranza o errore del chirurgo possono diventare mortali (come ad esempio la ferita fatta in un vaso arterioso o venoso esterno). Soggiunge ancora: accade spesse volte siccome è accaduto nel nostro caso che sopravvenendo una copiosa emorragia il chirurgo poco esperto pensa intervenire con replicate cavatte di sangue, ciocchè è un grandissimo sbaglio che è causa della morte del ferito, poiché trovandosi il ferito molto debole per la pregressa emorragia il Chirurgo inesperto colle copiose cavatte di sangue procurano l’estasi degli umori, la corruzione di loro, la cangrena e la morte.

E citando vari trattati di anatomia, medicina e chirurgia concludeva: onde il reo di questa morte è il Musconieri e non chi si pretende di essere.

L’illustre vescovo grande riformatore della nostra diocesi prese tanto a cuore la causa del guspinese che come dice lui stesso il mio animo si trova da molto tempo in qua agitato di quest’affare, deciso ad andare a fondo ricordando il concordato con la Santa Sede in materia di diritto d’asilo e che con fermezza difenderò sino all’ultimo respiro il dovuto onore e rispetto alla sua Chiesa.

Non sappiamo come andò a finire la questione ma conoscendo la risolutezza del prelato non dubitiamo sulla positiva conclusione per il povero accusato.

Tale era lo stato della medicina in Sardegna in quell’epoca, quando solamente da qualche anno grazie all’opera riformatrice del Bogino si erano rifondate le università di Sassari e Cagliari chiamando sulle cattedre valenti professori piemontesi. Ancora per diversi anni furono pochi però gli studenti sardi che seguivano gli studi e si specializzavano in campo medico-chirurgico ( nel 1808 ad esempio l’unico studente in medicina all’università di Cagliari era il guspinese Giovanni Franco).

Quanto detto spiega anche il grande successo della medicina empirica e tradizionale in Sardegna, col ricorso a saperi antichi tramandati attraverso i secoli e l’utilizzo di erbe e medicamenti, col corollario di pratiche che sconfinavano spesso tra il magico e il satanico con la recita di preghiere e brebus. Pratiche come s’ogu liau e s’acua de patena sono ancora diffusissime nei paesi sardi, che se di dubbia efficacia certamente sono meno dannose di quelle proposte da certi praticoni, finti medici e luminari che dal web e purtroppo anche dal vero improvvisano e inventano cure e medicine miracolose che hanno il solo scopo di riempire le loro tasche, a scapito della salute e della vita stessa di tante persone disperate.

L’analfabetismo e l’ignoranza di ritorno, il negazionismo ad oltranza (che purtroppo colpiscono anche uomini di scienza e di cultura), investono ormai tutti i settori della vita sociale soprattutto nei paesi più progrediti, e si ripercuotono con effetti tragici maggiormente nei settori scientifici e della medicina. Bastano poche righe lanciate sui social da qualche anonimo leone da tastiera, con illogiche e antiscientifiche argomentazioni, per cancellare agli occhi di molti secoli di studi, di incredibili progressi fatti dalla scienza soprattutto in campo medico che ha portato a debellare definitivamente malattie endemiche che hanno mietuto milioni di vittime in tutto il mondo.

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