Da qualche anno partecipa a un progetto che sviluppa micro-satelliti con rivelatori sensibili alle alte energie per osservare fenomeni energetici, come i Gamma Ray Burst. Questi lampi gamma sono esplosioni potentissime, tra i fenomeni più energetici dell’universo, probabilmente causati dalla morte di stelle massicce o dalla fusione di oggetti densi
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di Maurizio Onidi
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Andrea Sanna, classe 1983, guspinese, fisico con laurea magistrale presso l’università di Cagliari nel 2008. Dottorato di ricerca in astronomia e astrofisica, “Cum laude” al Kapteyn Institute dell’università di Groningen (Paesi Bassi). Attualmente professore associato al Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Cagliari. Negli ultimi 14 anni è stato autore e co-autore di numerose pubblicazioni scientifiche sulle stelle binarie che emettono nei raggi X.
Come e quando nasce la passione per l’astronomia?
«La mia passione per l’astronomia non è qualcosa che ho coltivato fin dall’infanzia. Nonostante mi sia capitato spesso di osservare il cielo notturno, da bambino non avevo un particolare interesse per le stelle o per lo spazio, e l’astronomia era per me solo un concetto astratto e lontano. È stato solo durante gli anni dell’università, dopo aver frequentato i primi corsi di astronomia, che questo mondo ha cominciato a catturare la mia attenzione. Man mano che approfondivo la materia e che interagivo con astronomi e astrofisici, la mia curiosità è cresciuta. Ho iniziato a rendermi conto di quanto fosse affascinante l’universo e quanto fosse gratificante comprenderne, anche solo parzialmente, le leggi che lo governano. È stato in quel periodo che l’astronomia è passata dall’essere una semplice materia di studio a una vera e propria passione».
Nell’immaginario non solo infantile, in particolare nelle notti stellate, la volta celeste, con la sua rotondità, ci dà la sensazione che la terra sia “dentro questo contenitore”. È uno spazio definito?
«In effetti, la sensazione che la volta celeste sia un “contenitore” che avvolge la Terra è un’idea molto radicata nell’immaginario collettivo, specialmente nelle notti stellate. Questa percezione deriva dall’impressione che il cielo sopra di noi sia una cupola o una sfera che racchiude il nostro mondo. Tuttavia, in realtà, lo spazio non è affatto un contenitore definito. L’universo è vasto e, secondo le conoscenze attuali, non ha confini che possiamo concepire come quelli di un oggetto tridimensionale. Ciò che percepiamo come “rotondità” del cielo è dovuto alla curvatura della Terra e alla nostra posizione su di essa. Le stelle che vediamo sembrano disposte su una sfera per via della nostra prospettiva limitata, ma in realtà si trovano a distanze enormi, distribuite in uno spazio tridimensionale che si estende ben oltre ciò che possiamo percepire. Direi quindi che la nostra prospettiva, probabilmente in maniera inconscia, ci vuole proteggere da una realtà difficile da interpretare, e cioè che lo spazio è un’entità aperta e infinita, priva di confini definiti».
C’è vita su altri pianeti?
«La ricerca di vita su altri pianeti è una delle questioni più affascinanti e complesse della scienza. Sebbene non abbiamo prove concrete di vita extraterrestre, ci sono indizi promettenti. Nel nostro sistema solare, Marte e le lune ghiacciate Europa ed Encelado sono tra i candidati più interessanti, grazie alla presenza di antichi letti di fiumi e oceani sotto croste di ghiaccio. Oltre il nostro sistema, l’universo è vasto e ricco di esopianeti nella “zona abitabile”, dove potrebbero esistere condizioni favorevoli alla vita. Tuttavia, la vita extraterrestre potrebbe essere molto diversa da quella terrestre, esistendo in forme o ambienti inaspettati. Anche se scoprissimo vita altrove, la comunicazione sarebbe complessa a causa delle enormi distanze cosmiche e delle possibili differenze nei mezzi di comunicazione. La domanda sull’esistenza della vita fuori dalla Terra resta aperta, ma l’immensità dell’universo rende sempre più improbabile che la vita esista solo qui».
Siete coautore di una scoperta sulle “stelle di neutroni e sui sistemi binari a raggi X”, in che cosa consiste e come siete arrivati?
«Immagina di osservare il cielo con un telescopio capace di rilevare raggi X. Noti una sorgente di raggi X proveniente da un sistema binario di stelle, dove una delle due è una stella di neutroni, un oggetto estremamente denso dove la massa del Sole viene compressa in una sfera di soli 10 km di raggio. Il nostro studio ha esaminato sistemi binari in cui una stella di neutroni attira materiale da una compagna meno massiccia, formando un disco di accrescimento. Quando questo materiale cade sulla stella di neutroni, emette una quantità enorme di energia in raggi X, rendendo questi sistemi molto luminosi. Abbiamo analizzato dati da osservatori spaziali per studiare le variazioni dei raggi X, ottenendo informazioni sulla rotazione della stella di neutroni e sulle caratteristiche del disco di accrescimento. Abbiamo scoperto che alcune stelle di neutroni hanno campi magnetici straordinariamente forti, influenzando l’accrescimento e l’emissione di raggi X. Questi risultati ci hanno aiutano a comprendere meglio la fisica estrema di questi oggetti e il loro ruolo nell’evoluzione galattica».
Quale contributo può dare l’intelligenza artificiale ai vostri studi?
«L’intelligenza artificiale sta dando una grande mano all’astrofisica, e alla scienza in generale, soprattutto quando si tratta di gestire e analizzare enormi quantità di dati. Immagina i telescopi che catturano milioni di immagini e registrano tantissimi segnali elettromagnetici: l’intelligenza artificiale può setacciare tutto questo mare di informazioni e trovare somiglianze che sfuggirebbero agli occhi umani. Per esempio, l’intelligenza artificiale può aiutare a scoprire nuovi pianeti o a studiare galassie lontane classificandole in base a caratteristiche specifiche. Può anche analizzare i segnali provenienti dagli eventi cosmici, come le esplosioni di supernovae o le onde gravitazionali, per identificare cose che altrimenti non noteremmo. Ultimamente questa tecnologia viene utilizzata anche per le simulazioni cosmologiche, permettendo agli scienziati di testare teorie più rapidamente e con maggiore precisione. Con tutto questo, possiamo fare scoperte più velocemente e con maggiore dettaglio, il che è fondamentale per avanzare nella nostra comprensione dell’universo».
Prima di concludere l’intervista, non può mancare la domanda a quale progetto sta lavorando?
«Continuerò a studiare le stelle di neutroni nei raggi X, ma da qualche anno partecipo a un progetto che sviluppa micro-satelliti con rivelatori sensibili alle alte energie per osservare fenomeni energetici, come i Gamma Ray Burst. Questi lampi gamma sono esplosioni potentissime, tra i fenomeni più energetici dell’universo, probabilmente causati dalla morte di stelle massicce o dalla fusione di oggetti densi. Durano da millisecondi a minuti e sono visibili a miliardi di anni luce, offrendo preziose informazioni sull’evoluzione dell’universo. Il progetto, chiamato HERMES, prevede sei micro-satelliti delle dimensioni di una custodia di champagne (10 cm x 10 cm x 30 cm) dotati di rivelatori ai raggi X e gamma. Se tutto andrà secondo i piani, verranno lanciati nello spazio a 500 km di altezza a partire da maggio 2025. Combinando i dati raccolti, potremo localizzare e studiare questi eventi, utilizzando tecnologia miniaturizzata innovativa per l’astronomia. Speriamo nel successo del progetto».
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