di Marino Melis
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Tra i registri di Contadoria della parrocchia di San Nicolò di Guspini, custoditi nell’archivio diocesano di Ales, si conservano una serie di testamenti che ci illuminano vivamente sulla vita di un villaggio della Sardegna tra il XVI e il XVII secolo. Si tratta di 153 testamenti di abitanti di Guspini, che abbracciano l’arco cronologico tra il 1591 e il 1621, redatti per lo più in catalano, ma non mancano gli esempi in lingua sarda campidanese.
Secondo le disposizioni emanate dal Concilio di Trento (1545 /1563), tutti i cristiani che si trovavano in punto di morte possessori di beni mobili e immobili, dovevano dettare le loro ultime volontà davanti a un notaio pubblico o sacerdote o scrivano a tal uopo abilitato. Costituiva un obbligo a cui dovevano sottostare tutti i maggiorenni, maschi e femmine proprietari anche di pochi beni. Quando una persona moriva ab intestato (senza aver fatto testamento), una commissione composta da probihomini e sacerdoti, doveva quantificare e avvalorare i beni del defunto, redigendo il cosiddetto testamento dell’anima, e destinarne una quarta parte alla salvezza dell’anima del defunto mediante messe e lasciti alla Causa Pia. Questo era anche talvolta motivo di attrito e contrasti, tra sacerdoti e parenti dei defunti, per i frequenti abusi e i più o meno velati ricatti da parte dei sacerdoti, che si rifiutavano di dare cristiana sepoltura al morto in mancanza di una adeguata “offerta”.
Per una fortunata coincidenza tra gli altri si trova il testamento del guspinese Antiogu Usai redatto il 13 aprile 1569, a Sardara, dove il testatore si trovava per via dei suoi affari, o per un incarico amministrativo o militare. Lo redige il sacerdote Nicolao Crucas di Sardara, ricalcando i moduli conciliari, in una grafia abbastanza lineare e di buona leggibilità e comprensione in sardo campidanese, infarcito qua e là da qualche latinismo e alcuni prestiti dal catalano, dovuti al formulario canonico studiato dalla chiesa.
Dice quindi Antiogu Usay che trovandosi ammalato a letto, ma sano di mente e intendimenti, detta il suo testamento annullando qualsiasi altro abbia fatto in precedenza, e vuole che valga in corti e foras de corti, e quando morirà bolit et cumandat qui su corpu suo sia sepellidu in su ximitoriu de santu Nicolau parroquia de custa villa de Guspini.
Dopo aver disposto alle solite scadenze la celebrazione di messe sia cantate che baxas lasciando congrue somme, dispone di alcuni soddus a favore della chiesa di San Pietro di Terralba, ai piedi dell’altare, alla Santa Croce, alla parrocchia di San Nicolò e alle altre sette chiese di Guspini (oltre alle chiese cittadine di Santa Maria e Sant’Alessandro, le chiese rurali di San Maria de Urradili, San Giorgio, San Pietro, San Simplicio e Santa Caterina).
Si trova poi una curiosa annotazione che si ripete in quasi tutti i testamenti, lascia alla moglie per essere bona mulleri la lira d’argento che specifica vale dieci lire. Probabilmente questa moneta aveva un valore reale, ma anche altamente simbolico, che si tramandava di generazione come patrimonio della famiglia.
Elenca poi i pochi debiti che ha nei confronti del fratello, della suocera, di vari personaggi guspinesi, di San Gavino e di Sardara. Interessante l’annotazione di un debito nei confronti di tale Barena Congiu di Sardara de su restu de guarniri sa spada, che fa pensare che il testatore fosse un ufficiale o comunque un personaggio di rango nell’amministrazione della baronia del Monreale.
Più nutrito l’elenco dei suoi debitori, dove figurano oltre a guspinesi, vari sardaresi, abitanti di Forru, Arbus, Ussarella; Nani Podda de Siddi, li debit chinqui liras y una sedda frunzida et beni crobeta, qui ponendumì contu unu moj de fa qui su ditu testadori adi recividu de su ditu Podda, et sa dita fa solli restas sarditas chinqui liras.Dispone poi che avendo lavorato e vendemmiato la vigna della sorella le siano date sexi marigas de mustu. Della vigna invece di Nuraxi dice che avendola ereditata dal suo fundamentu alla moglie non spetta nulla, mentre di quella posta in bingias novas una parte spetta alla consorte. Ancora lassat a contu de sa honrada mulleri sua, qui no siat desposejada (maritata nuovamente), duas domus aundi hoy istadi, et qui nemus no li facit liti ni qristioni.
Nomina poi i figli suoi eredi universali, e quando morissero senza testamento, lascia metà alla sorella e metà al fratello, et candu moressint siat de nebodis.
Lascia infine dieci lire perché siano celebrate tante messe nelle ricorrenze dovute nel paese di Guspini, e altre dieci lire da celebrarsi in qualsiasi villa de su presenti piscobadu. Finisce poi col nominare Curadoris et manumessoris de sa anima sua su fradi et a Nani Porxellu a is qualis cumandat sanima sua.
Assistono come testimoni Antiogo Muru, Bartomeu Sagano, Quicu Artea, Sarbadori Caria (dovrebbero essere tutti sardaresi), e Nicolao Crucas preidi et curadu de sa presenti idda de Sardara, che redige il documento.
Seguono poi due postille in catalano, una del 10 ottobre 1569 redatta a S.Gavino dal vicario generale dell’episcopato di Terralba Antiogo Echa, che dichiara di aver dato compimento al legato di Antiogo Usai facendo celebrare le opportune messe per la festa di S. Lucia, per la natività di Nostro Signore, e le altre le domeniche di Quaresima, e le festività della Passione e del Santo Spirito.
La seconda postilla è datata 26 novembre 1602 redatta in Guspini dal rettore Antiogo Cara, che dichiara di aver traslato copia del testamento avuto dal vicario Echa, dandone copia anche al figlio del testatore Jo Usai.
Si tratta del più antico documento in sardo riguardante la comunità di Guspini che all’epoca doveva contare un migliaio di abitanti. A dir la verità sono davvero pochi i documenti in sardo conservati nell’archivio Diocesano di Ales, ma la gran mole di carte ancora da inventariare, studiare e catalogare, fa sperare che si possano presto scoprire nuovi documenti che permettano di aprire inediti e intriganti squarci sulla società, sulla lingua e sulla microstoria delle nostre comunità.
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