di Evaristo Puxeddu
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Umberto Fanni fu il primo ingegnere di Guspini. Presidente dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari e dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia, coordinatore dell’Associazione Nazionale Ingegneri e Architetti Italiani, Consigliere Comunale al Comune di Cagliari, Medaglia d’Argento al Valor Militare e Presidente dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia.
Nato nel 1898, era l’ultimo figlio di Perdu Fanni.
Nel 1916 si era iscritto alla facoltà d’ingegneria dell’Università di Roma.

Studi, che dovette interrompere per gli impegni militari, durante la Grande Guerra.
E che riprese, nel 1919. Quando, ancora studente, fu scelto per la sua bravura, a collaborare, in qualità di tecnico, alla costruzione della diga del Tirso.
Nel 1924 si laureò in ingegneria Civile e iniziò a esercitare la libera professione e a insegnare all’Istituto Industriale di Cagliari. Qualche anno prima aveva sposato Maria Sulis, una bella ragazza di Isili, figlia di un celebre avvocato che fece anche il Giudice.
Da questo matrimonio nacquero: Rita, Michele, Carlo, Maria Laura, Pietro, Pier Giorgio, Paolo, Maria Teresa, Maria Bonaria, Raimondo, Giuseppe, Francesco e Antonio.

Nel 1940 fu richiamato alle Armi per la seconda guerra mondiale. Ebbe il grado di capitano e fu nominato coordinatore della settima delegazione preposta al controllo delle Miniere della Sardegna, per l’estrazione dei materiali occorrenti per la fabbricazione delle armi.
Era un uomo dal temperamento mite e allegro, stimato da tutti. E soprattutto un grande lavoratore e un serio professionista. Fino al 1983, anno in cui perse completamente la vista.
Una carriera lunga ed eccezionale per numero e qualità di interventi, che lo videro protagonista di centinaia di progettazioni pubbliche e private: strade, acquedotti, ospedali, luoghi di culto e uffici pubblici, abitazioni private, sia in tutta la Sardegna che in Continente.

In particolare, merita di essere ricordato per il suo intervento di progettazione e direzione dei lavori, del “ Cupolatto” della Chiesa di San Lucifero a Cagliari, realizzato nel 1934.
In questa circostanza speciale, il trentacinquenne Umberto si mise subito in luce, come disse il parroco Don Mosè “per la sua bravura, fedeltà e generosità”, realizzando impegnativi lavori di restauro: salvando la Cupola compromessa da una spaccatura, mediante un robusto cerchio di cemento armato e salvando i pilastri, rovinati dalle profonde radici di un fico selvatico.
Però, nacquero subito difficoltà finanziarie, burocratiche e giudiziarie con i responsabili dei Beni Culturali. Ma l’entusiasmo e il disinteresse sia del progettista sia del parroco ebbero la meglio.
Fu proprio in questa occasione, come disse nel suo “Interessante Studio” l’Architetto Maria Freddi, che Umberto Fanni “ebbe la ventura di scoprire un Ipogeo o Cripta Sepolcrale, con probabilità del IV secolo, che secondo la tradizione locale, sarebbe stata “la Tomba di San Lucifero,” grande figura della Chiesa dei primi secoli, vescovo di Cagliari fino al 20 maggio del 370 d.C.

Ma già nel 1623, “nelle campagne ad est del quartiere di Villanova, presso l’antichissima Basilica di San Saturnino, raccontano le “Note Storiche Parrocchiali”, da noi immediatamente consultate per rigoroso dovere di cronaca, venne riscoperto il sepolcro di S. Lucifero, di cui si era perso il ricordo”. Ma quella era un’altra storia, troppo lontana nel tempo e da tutti dimenticata!
Proprio per questo motivo, il merito di Umberto rimase intoccabile e grandissimo, perché, come sostenne la Freddi, “la sua fu una felice recognizione”; una “riscoperta importante” come affermiamo noi, perché fatta dopo tre secoli di lungo silenzio. Un avvenimento, che tra l’altro, ebbe anche il notevole vantaggio di catturare di nuovo l’interesse di tutti i cagliaritani “e non”, amanti della storia locale e della cultura. Che, ovviamente, dovettero accogliere, con notevole interesse, le “fresche notizie” che arrivavano ogni giorno, in modo repentino, dal cantiere e dallo stesso intraprendente parroco.
Del giovane ingegnere guspinese, figlio di Perdu Fanni, s’interessarono i giornali e le cronache dell’epoca. E, divenne ulteriormente famoso lo stesso Don Mosè, che proprio durante questi “fortunati” lavori di restauro, scoprì un sarcofago, centinaia di teschi dolicocefali (subito prelevati e studiati dall’Istituto di Antropologia), cataste di ossa, mura romane con mattoni bipedali e mura medievali che fecero felici l’archeologo Piero Cau e l’intera Sovrintendenza di Cagliari.
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