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ATTUALITÀ

I conti mai fatti, ma viva la nostra Repubblica

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di Sandro Renato Garau
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I conti mai fatti con un passato. Gli amnistiati dal fascismo e dalla nascente Repubblica Italiana forse non sono riusciti a riconciliarsi con sé stessi e non hanno mai perdonato neanche chi li ha amnistiati.

La storia è lunga poco più di cento anni, da quando Benito Mussolini, il 31 ottobre 1922 impone all’Italia un regime fascista esperienza conclusasi il 25 luglio 1943. La storia ci riporta i molti episodi che hanno portato al fascismo. I pestaggi, le intimidazioni, i controlli asfissianti delle squadracce guidate dai gerarchi. È in questo contesto che si inserisce l’argomento amnistie.

Per meglio comprendere ci facciamo aiutare da Nazario Sauro Onofri, giornalista e storico (1927-2015). Partigiano giovanissimo nell’8a brigata Giustizia e Libertà “Masia”. Onofri elenca le amnistie dal 25 luglio 1922 al 25 luglio 1943, quelle concesse a chi aveva contribuito con la violenza all’ascesa al potere del fascismo.

Sette le amnistie dunque: quella del 22 novembre 1922, a soli 24 giorni dalla marcia su Roma, quando migliaia di fascisti si diressero verso la capitale minacciando la presa del potere con la violenza, e a soli 22 giorni dalla nascita del regime. Il re Vittorio Emanuele III rimise in libertà centinaia di fascisti in carcere per gravi reati politici. Il 31 luglio 1925 rimise in libertà gli assassini di Matteotti. Il 1° gennaio 1931 per il matrimonio del principe ereditario ci fu la terza; la quarta il 5 novembre 1932, in occasione del decennale del regime. Questa restituì la libertà a migliaia di antifascisti condannati dal Tribunale speciale o confinati nelle isole. Più limitata quella del 25 settembre 1934, in occasione della nascita della principessa Maria Pia di Savoia, e quella del 5 febbraio 1937 per la nascita del principe Vittorio Emanuele. Ancor più limitata l’ultima del 17 ottobre 1942, per il ventennale del regime. A prescindere da queste amnistie volute dal re e dal regime fascista gli arresti e i confini continuarono per tutto tutti coloro che si opponevano al regime.

Per avere nuove amnistie bisogna aspettare che finisca la guerra, quella mondiale e quella partigiana e che l’Italia sia liberata dal nazifascismo. Avverrà il 22 giugno 1946, dopo la proclamazione della Repubblica il 2 giugno 1946, quando entra in vigore il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell’occupazione nazifascista. Le firme sono quelle di De Gasperi – Romita – Brosio – De Courten – Cevolotto – Gullo

Il ministro di Grazia e Giustizia è Palmiro Togliatti.

I reati amnistiati coinvolgono miglia di italiani: all’art. 1 del decreto l’amnistia riguarda  i reati in genere; al 2  i delitti politici commessi dopo la liberazione; al 3 per altri delitti politici; il 4 esclude dall’amnistia alcuni delitti e reati; l’art. 8 prevede condoni per i reati comuni e il 9 la commutazione in pena per i reati politici; il 10 regola l’esclusione dal condono; l’11 valuta i precedenti penali; il 12 revoca l’eventuale condono; il 13 norma i reati commessi in danno alle Forze alleate; non mancano i reati finanziari all’art. 14 e quelli militari al 15.

Com’è facile capire il decreto prevede una casistica ampia che tenta di mettere fine all’odio che attraversava l’Italia almeno dal 1919.

Si pone, però, un problema e, a nostro parere, di non facile soluzione: l’abbandono dell’ideologia che aveva permeato il ventennio. Una o molte amnistie non cancellano modi di pensare, di agire o non impediscono di coltivare rancore nei confronti di chi è stato dall’una o dall’altra parte della barricata. Ma veramente possiamo credere che queste amnistie abbiano migliorato le persone coinvolte facendole aderire a un processo democratico basato su lavoro per tutti, giustizia sociale, libertà e dignità? La questione è sul tavolo, ci vorrà tempo. Bisognava chiudere la stagione del nazifascismo e una guerra mondiale, per l’Italia, fratricida. Senza una riflessione profonda, non solo nei palazzi e nelle istituzioni, ma tra le persone è difficile supera la complessità dei fatti. Oggi, qualche forza politica tende a rimettere in discussione anche la Costituzione Repubblicana antifascista. Quella nata raccogliendo le idee appena stemperate di un comunismo revisionista, quello teorizzato da Eduard Bernstein, da un’idea di cristianesimo diffuso, ma con molte parrocchie, anche diverse, da un liberalismo e un capitalismo aggressivo, soprattutto nei confronti di chi è debole. La riproposizione di segni e simboli che ricordano il ventennio fascista non aiutano… Ecco perché ci vorrà un supplemento di riflessione da parte di tutti coloro che si sentono parte dell’Italia Repubblicana.

Queste le considerazioni per il 2 giugno, festa della Repubblica, giorno in cui molti, nel referendum, scelsero la Repubblica liquidando la monarchia.

Un’ultima osservazione: chi è stato sulle montagne ai confini dell’Italia del nord e ha avuto la possibilità di guardarsi attorno capisce cosa sia stata la guerra partigiana e quanto significato abbia avuto per la nascita della Repubblica. La guerra partigiana è la conferma del nesso inscindibile tra Carta costituzionale e memoria di un passato che non può tornare. Piero Calamandrei parlando a un gruppo di studenti milanesi ricordava loro: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.”

 

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