di Lorenzo Argiolas
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Troppo spesso, almeno in tempi recenti, mi è sembrato che “Sa Die de sa Sardigna” fosse dedicata solo ed esclusivamente alla celebrazione dell’orgoglio di essere sardi, alla fierezza di vivere in una terra così meravigliosa, unica al mondo. Una cerimonia che talvolta mi sembra fine a sé stessa. È un mio punto di vista strettamente personale, ma occorre che oggi ci si interroghi sul significato che vogliamo dare a questa ricorrenza.
In questa giornata il mio pensiero va a quel 28 aprile del 1794, data apicale di quella Sarda Rivoluzione che ha animato la scena politica e sociale della Sardegna di fine XVIII° secolo. Ma non solo, credo fosse doveroso commemorare le figure di tanti che nel corso dei secoli si sono battuti per l’emancipazione e la libertà della Sardegna. Penso ad Amsicora che combatté contro l’invasore romano, al giudice Mariano IV e a sua figlia Eleonora d’Arborea che promulgò la Carta De Logu (uno degli statuti più interessanti della storia, rimasta in vigore nell’isola fino al 1827) ho commemorato poi, ovviamente, Giovanni Maria Angioy, che guidò i moti antifeudali nel triennio rivoluzionario sardo; Infine ho voluto ricordare anche uno dei massimi intellettuali del Novecento che, guarda caso, era sardo. Antonio Gramsci, il quale si oppose con vigore a quel regime fascista che lo costrinse al confino e al carcere ma non riuscì in alcun modo a limitare la sua libertà di pensiero.
Ecco, credo che “Sa Die” ci debba motivare ad approfondire costantemente quanto è accaduto nella nostra storia così peculiare. A tal proposito io mi soffermo sempre sulla rilettura di quella che penso sia la rievocazione più bella della nostra storia, seppur rivista in chiave mitica, ossia “Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni. Ritengo che solo attraverso la consapevolezza di chi siamo stati può nascere una maggiore coscienza di chi siamo e di chi vorremo essere.
Ma Sa Die deve avere anche un senso legato al presente e al futuro. Oggi il problema della Sardegna non è il feudalesimo. I problemi della Sardegna sono molteplici e atavici. La disoccupazione, l’emigrazione, le servitù militari, il diritto alla mobilità, l’inquinamento ambientale, la carenza di infrastrutture, i continui tagli alla sanità pubblica, la vertenza delle entrate e lo spopolamento sono questioni che meritano di essere affrontate con chiarezza e decisione. Lo dobbiamo alla nostra isola, affinché si possa avviare un serio processo di sviluppo politico, sociale, economico e culturale. Servono programmi che diano impulso ad una Sardegna che può essere veramente protagonista in un’ottica europea e, soprattutto, mediterranea.
Per concludere, oggi più che mai abbiamo il dovere e la necessità di preservare e di riappropriarci della nostra storia, della nostra cultura e della nostra lingua, in chiave moderna, attraverso una visione proiettata sul futuro e non costantemente rivolta al passato.
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