di Fulvio Tocco
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Il rapporto Ispra 2019, sul consumo di suolo in Italia, evidenzia una tendenza inarrestabile alla cementificazione a discapito delle aree verdi, anche in periodi di crisi edilizia.
Le aree urbane del nostro Paese continuano ad espandersi, sia nelle metropoli ad alta densità che in aree periferiche, con una significativa e costante perdita di territorio coltivabile o piantumato.
La questione è preoccupante perché la media italiana di consumo dell’anno 2018 è stata di 14 ettari al giorno, cioè due metri quadrati al secondo. Questo dato va preso nella dovuta considerazione vista la dipendenza italiana dalle importazioni.
L’insorgenza di infezione del coronavirus di cui stanno parlando i giornali e i mezzi di comunicazione di tutto il mondo, dovrebbe farci riflettere seriamente.
Ipotizzando che il prolungarsi o il ripetersi di queste infezioni, per diverse ragioni, causi dei problemi alle importazioni di derrate, in Italia, ci sarebbero delle serie conseguenze per garantire l’approvvigionamento alimentare.
E non è una considerazione campata in aria.
Sulla questione, infatti, il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e forestali, nell’anno 2018, ci ha ricordato che il nostro Paese è in grado, oggi, di produrre appena l’80-85% del proprio fabbisogno primario alimentare, contro il 92% del 1991.
Significa che se, improvvisamente, non avessimo più la possibilità di importare cibo dall’estero per blocchi vari, ben 20 italiani su 100 rimarrebbero a digiuno e che quindi, a causa della perdita di suoli fertili, il nostro Paese oggi non è in grado di garantire ai propri cittadini la sovranità alimentare. Tanto che la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) si è ridotta a circa 12,7 milioni di ettari con 1,7 milioni di aziende agricole, superficie che nel 1991 era quasi 18 milioni di ettari.
A partire dalla crisi del 2009 e dal disordine istituzionale, prodotto in Sardegna nel 2012 dalla codarda e demagogica politica regionale, il territorio rappresenta l’unica fonte su cui puntare per impostare i nuovi sistemi di sviluppo per cui non possiamo permetterci di ridimensionare ulteriormente le superfici coltivabili consumando il suolo per fini diversi della produzione di derrate e di alberi da alto fusto.
Negli ultimi sei anni l’Italia ha perso superfici che avrebbero potuto produrre tre milioni di quintali di prodotti agricoli e ventimila quintali di prodotti legnosi. Per i prossimi sei anni non si può confermare un dato del genere.
Sarebbe da irresponsabili perché i terreni agricoli anche quando sono risparmiati dal cemento, sono sempre più poveri: frammentati, erosi, desertificati, più accidi per l’uso prolungato dei concimi chimici azotati.
Per questa ragione limitare il consumo di suolo assume una valenza ancora più significativa e che non va per niente sdrammatizzata perché lontani sono gli obiettivi europei che prevedono entro il 2030 l’azzeramento del consumo di suolo netto nel continente.
Per arrivare a questo standard non è necessario soltanto non costruire più, ma prevedere a compensazione demolizioni, impermeabilizzazioni, rinaturalizzazioni.
Ispra e Snpa, stanno lavorando con le Regioni alla realizzazione di osservatori sul consumo di suolo ai quali spetterà il compito di pianificare la sostenibilità del territorio.
“I dati del Rapporto presentato”, ha dichiarato il presidente Ispra Stefano Laporta “confermano l’urgenza di definire al più presto un assetto normativo nazionale sul consumo di suolo, ormai non più differibile”. Dichiarazione condivisa dal ministro per l’Ambiente, Sergio Costa che afferma: “I tempi sono maturi per approvare il disegno di legge sul consumo di suolo.
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