
di Francesco Diana
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Vi siete mai trovati al centro di un’assemblea popolare, dove si dibattono problemi che riguardano la vita all’interno della vostra comunità oppure al centro di una delle solite discussioni di gruppo nella piazza del vostro paese?
Se, com’è lecito credere, avete avuto tali esperienze, avrete sicuramente notato che in tali situazioni, più spiccatamente nelle assemblee pubbliche, emergono diverse categorie di persone:
1-quella che ha una sufficiente cognizione del problema trattato e non ha difficoltà a esprimere il proprio parere in proposito;
2-quella che, con cognizione limitata del problema e con forte spirito polemico, cerca di imporre il proprio punto di vista;
3-quella che, non avendo cognizione del problema, si limita ad ascoltare per poi esprimere il proprio parere in ossequio a quello espresso dalla maggioranza degli intervenuti;
4-quella che ascolta e basta.
Alla prima categoria appartengono coloro i quali, con cognizione di causa, con proprietà di linguaggio e con la dovuta serenità, si prodigano per trasferire al gruppo le proprie conoscenze, frutto di studi compiuti e di maturate esperienze personali.
Alla seconda categoria che, di fatto, si contrappone alla prima, appartengono coloro i quali, pur avendo una sommaria conoscenza del problema, si contrappongono alla prima, spesso anche con arroganza, facendo sfoggio di una colorita dialettica condita di termini dei quali, probabilmente, non conoscono il significato. Lo fanno in genere per spirito di contraddizione, oltre che per attrarre i consensi di quella parte di uditorio che, ignaro del problema, è facilmente attratto dall’arroganza dialettica dell’oratore.
Alla terza categoria, quella più numerosa, appartengono coloro i quali, non avendo alcuna conoscenza in merito al tema trattato, si limitano ad ascoltare con attenzione, confabulando di tanto in tanto con i vicini allo scopo di captarne i pareri. Alla fine, se sollecitati, esprimeranno il proprio parere che coinciderà inevitabilmente con quello della maggioranza dei convenuti.
Alla quarta categoria, appartengono coloro i quali, in genere già sofferenti per aver dovuto soddisfare l’invito formulato da un’autorità o da un amico, a discapito degli altri impegni familiari e di lavoro, si limita ad ascoltare più o meno attentamente gli argomenti trattati dai vari oratori, consultando nervosamente l’orologio e sperando in un’imminente chiusura dei lavori. Contrariamente alle precedenti categorie questi ultimi, pur avendo una più o meno chiara visione degli argomenti trattati e maturato un preciso parere in merito ai problemi emersi, se ne guardano bene dall’esternarlo per paura di aver torto o per evitare antipatie e ripercussioni personali.
Ciò premesso, prescindendo da ogni dissertazione sulle prime due categorie citate, che non hanno necessità di essere commentate abbiamo, invece, sentito la necessità di approfondire le nostre conoscenze in merito al comportamento delle ultime due categorie citate, per capire quali remore, in regime di democrazia, impediscono all’individuo di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Partendo da quanto stabilito dall’art. 21 della Costituzione Repubblicana, secondo cui “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, e chiedendoci come mai non tutti esercitano tale diritto, siamo incappati in un trattato dal titolo “L’arte di avere ragione” di Arthur Schopenhauer dove l’autore, fra l’altro, ci spiega l’origine di quella che è definita “Opinione Generale”.
Esprimere la propria opinione in pubblico anche in vigenza di democrazia, non appare agevole per via del fatto che si ha paura di eventuali ritorsioni o, nella migliore delle ipotesi, di generare il sarcasmo da parte dei dissenzienti.
Così facendo, secondo il parere del citato filosofo, si è arrivati a coniare il concetto di “Opinione generale”, come quella di due o tre persone al massimo che, con cognizione di causa, hanno espresso la propria opinione su un determinato problema, convogliando anche la massa che, per mancanza o inadeguatezza di opinione, spesso anche per pigrizia o codardia, ha ritenuto più comodo adeguarsi in proposito.
In sostanza, quindi, l’opinione generale sarebbe l’espressione di quanti non sono stati in grado di farsi un’opinione, sia per carenze intellettuali o per sola pigrizia, opinione che, una volta affermata, costituirà un limite invalicabile nei confronti delle opinioni di quanti, nel frattempo, saranno riusciti a formarsene una.
A tal proposito appare condivisibile il concetto espresso da Mark Twain nel suo saggio dal titolo “Il privilegio della Tomba“, secondo cui: «Questa riluttanza a esprimere opinioni impopolari è giustificata: il prezzo da pagare è assai alto, può comportare la rovina economica di un uomo, può fargli perdere gli amici, può condannare all’emarginazione la sua famiglia innocente e rendere la sua casa un luogo desolato, disprezzato ed evitato da tutti. … Più l’uomo è intelligente, maggiore è la quantità di opinioni di questo tipo (impopolari) che ha e che tiene per se. … A volte sopprimiamo un’opinione per ragioni che ci fanno onore, non onta, ma più spesso lo facciamo perché non possiamo sostenere l’amaro costo di dichiararla. A nessuno di noi piace essere odiato, a nessuno piace essere evitato. Una naturale conseguenza di questa condizione è che, consciamente o inconsciamente, facciamo più attenzione ad accordare le nostre opinioni con quelle del nostro vicino e a mantenere la sua approvazione piuttosto che esaminarle con scrupolo per vedere se siano giuste e fondate».
Consapevoli del fatto che detto concetto trova terreno particolarmente fertile anche nelle nostre realtà rurali, e non solo, riteniamo tuttavia che la libertà opinione, ovviamente espressa nel rispetto delle regole, rappresenti condizione indispensabile per il conseguimento della necessaria emancipazione sociale, traguardo di ogni società.
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