di Marcella Concas
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In questi giorni al cinema spopola un film con protagonista la famosa bambola Barbie che lascia il mondo perfetto in cui vive per arrivare nel mondo reale dove deve fare i conti con una società fortemente intrisa di patriarcato a volte evidente e altre volte strisciante.
Eppure in Sardegna fino alla metà degli anni 50 del secolo scorso la donna godeva di uno status che poteva essere considerato un unicum rispetto al resto della penisola, poiché aveva poteri gestionali e decisionali che altrove erano prerogativa esclusivamente maschile.
Questa peculiarità era dovuta principalmente alla struttura economica e sociale del territorio sardo, basata sul nucleo familiare che era anche azienda (hacienda) e alla cui costruzione contribuivano entrambi i coniugi.
In un periodo in cui la ricchezza era misurata in gioghi di buoi e estensioni terriere ogni nuova famiglia prima di costituirsi doveva creare una base che comprendeva terreni, casa, forza lavoro e competenze. La scelta del coniuge doveva essere fatta con grande cura perché una buona alchimia di coppia era la chiave per una buona riuscita dell’economia familiare. Il futuro sposo acquisiva nella famiglia di origine le competenze necessarie per portare avanti la propria hacienda, imparava a coltivare la terra ed allevare il bestiame e alla fine del percorso andava via con un capitale di terre e buoi che costituivano il punto di partenza per la propria hacienda. Allo stesso modo la futura sposa imparava a tenere la casa e in un tempo in cui non esistevano supermarket e negozi di biancheria, era in grado di panificare, tessere e ricamare. Le donne erano anche profonde conoscitrici di vizi e virtù dei propri compaesani, in grado di indicare con chi era meglio fare o non fare amicizia, fare o non fare affari. Quando i futuri sposi avevano messo insieme una quantità di sostanze sufficienti e avevano raggiunto un’età per cui altrove si era considerati già vecchi (circa 30 anni) avveniva il matrimonio e gli sposi si trasferivano in una casa tutta loro in cui una netta divisione di compiti, gli uomini ai campi, le donne in casa, era solo apparente poiché le decisioni più importanti venivano prese di comune accordo e alla moglie spettava il compito di raccogliere informazioni sulla affidabilità di eventuali contraenti per la vendita o l’acquisto di terreni o sulle abilità di un lavorante da impiegare nell’azienda di famiglia.
La celebrazione del matrimonio era preceduta da una sorta di processione in cui amici e parenti sfilavano portando in casa della nuova coppia arredi, biancheria, suppellettili e generi alimentari mostrando alla comunità la ricchezza da cui partiva la nuova famiglia.
In una società basata sulla famiglia in cui il matrimonio era per sempre senza che venisse neppure considerata la possibilità di separazione o divorzio, era indispensabile che i coniugi collaborassero attivamente per incrementare la ricchezza di base e dare modo ai figli di poter costituire a loro volta una famiglia-azienda prospera. Tutti i figli, a prescindere dal genere di appartenenza, avevano diritto a una porzione di eredità e anche le donne vi partecipavano, anche se spesso si preferiva dare loro terreni meno pregiati in virtù del fatto che i loro mariti portavano in dote terre più fertili. In molte zone dell’isola questo uso ha fatto la fortuna di famiglie che hanno ereditato per linea materna terreni che per la loro prossimità a spiagge prese d’assalto da turisti e locali hanno acquisito valori economici ben maggiori di quelli agricoli.
Nonostante la società fosse basata sulla famiglia anche chi decideva di rimanere single (bagadiu, bagadia) poteva fare la sua parte se decideva di seguire l’educazione e la formazione dei nipoti dando una concreta mano d’aiuto a fratelli, sorelle e cognati. Nasceva in questo modo l’istituzione informale detta ‘Fillus de anima’, figli dell’anima, un’adozione sulla parola che portava al concreto diritto di ereditare i beni del parente single senza che nessuno ne mettesse in dubbio la validità.
La necessità di preservare e tramandare i beni di famiglia era anche il motivo per cui ci si sposava tra cugini e in generale tra parenti più o meno prossimi, con conseguente acquisizione di tare familiari. Per chi non possedeva né terreni né gioghi di buoi sposarsi era molto più semplice e immediato, mettere insieme le proprie indigenze rendeva la scelta del coniuge facile, anche se della maggiore felicità dei matrimoni spontanei rispetto a quelli combinati non è dato sapersi.
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