Le comunità di Nuraminis, Monastir e Serrenti si sono ritrovate nel santuario di Santa Vitalia di Serrenti. Ad invitarle Gigi Olivia, esperto etnomusicologo, nel contesto del progetto Boghes, sostenuto dall’ISRE, finalizzato alla raccolta dei vari canti religiosi in lingua sarda ancora esistenti sul territorio. Nella piccola chiesetta, per ogni paese, si è registrato il rosario e “is gòccius” cantati in lingua sarda. Serrenti ha cantato “is gòccius” dedicati a Santa Vida.
“Is gòccius” (il nome varia a seconda della località) sono delle lodi, solitamente raccontano la vicenda geografica e quindi la vita di quel santo in particolare a cui sono indirizzate. Una volta finite le registrazioni sono state fatte delle interviste sull’utilizzo dei canti nei contesti sociali.
Tutto il materiale video prodotto sarà inserito in un sito web, denominato boghes (ancora in fase di sviluppo) in cui sarà “consultabile” da tutti i visitatori.
Il progetto Boghes, per il quale si è svolta questa iniziativa, nasce dall’impegno comune di varie associazioni. Il tutto è partito dall’associazione culturale “Impretas”, sostenuta dall’Isre e dall’università di Cagliari, che ha nominato Gigi Olivia come referente scientifico.
«L’obbiettivo di questa attività», commenta Nieddu, presidente dell’associazione Imprentas «è quello di censire e documentare i canti, sia in formato audio che in formato video. Questo tipo di attività è al contempo individuare le località dove ancora viene praticata questa tradizione».
Si vuole quindi creare un vero e proprio censimento del “rosario Sardo”, antica tradizione propria di ogni paese che pian piano, se non salvaguardata, rischia di entrare nel dimenticatoio. In circa un anno di lavoro, secondo il presidente di Impretas, si riuscirà a raccogliere la documentazione di circa 100 comunità. adeguatamente selezionate su un totale di 377.
Per il 2019 si continuerà coi rosari, l’anno prossimo si passerà ai cori polifonici andando quantomeno ad approssimare un quadro generale sul territorio sardo di quella che potrà considerarsi una “fotografia” sulla tradizione canora, religiosa, sarda ancora ancora viva ai nostri giorni.
Emanuele Corongiu
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