Attualità Terralba

Immigrazione ed integrazione: Mousthapha un senegalese integrato

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Oggi al centro dell’attenzione quotidiana, fra le altre problematiche, vi è il tema dell’ immigrazione, clandestina o no, dei salvataggi e delle morti nelle acque del Mediterraneo di persone che provengono soprattutto dal continente africano, che fuggono dalla guerra, dalla fame o in cerca di un futuro migliore. Vengono catalogati tra rifugiati e clandestini. I primi fuggono da guerre, carestie, fame e persecuzioni, gli altri cercano migliori condizioni di vita che il loro paese non può garantire. Sono i cosiddetti migranti economici. Sono soprattutto giovani e sono tanti per cui l’integrazione di tutti  non è cosa semplice. Non è semplice apprendere la lingua in tempi brevi, e non è facile  trovare un lavoro per tutti e una casa per godere di una vita serena e gratificante.

Molti sono purtroppo costretti anche a delinquere. Tante sono le contraddizioni riguardo all’immigrazione. Ma non è sempre stato così o non lo è per molti casi. Conosco da anni Mousthapha, senegalese  poco più che cinquantenne, che incontro settimanalmente nei mercatini  del territorio e con modi gentili e accattivanti propone i suoi articoli esposti nel banchetto di vendita. Un vecchio camioncino bianco accompagna il suo peregrinare giornaliero. Mi fermo a parlare con lui, li pongo delle domande alle quali risponde con gentilezza. Ho scoperto un mondo sconosciuto, un esempio di integrazione realizzata con una vita di sacrifici e con un lavoro dignitoso e onesto per sostentare la  famiglia.

Mousthapha è arrivato in Sardegna nel lontano 1987. Aveva 24 anni. Con il visto rilasciatoli per la Francia, transita in Italia e da qui in Sardegna, arrivando a Pabillonis dove aveva già un fratello e diversi amici e conoscenti. Qui ha trovato accoglienza e sostegno, incontrando  gente di gran cuore. Nei piccoli paesi, ci tiene a dirmi, la gente ha un cuore grande, nelle grandi città invece la gente ha un cuore piccolo. All’inizio era costretto per tirare avanti  a fare il “ Vù cumprà”,  girando con una vecchia Fiat 128 per tutta la Sardegna, insieme ad altri compagni di colore e con l’immancabile cassetta come tanti ne vediamo ancora.

A Pabillonis l’abitazione, in comune fra diversi occupanti, era in brutte condizioni e così Mousthapha, insieme ad alcuni compagni, riesce a trovare casa a Terralba. Una casa più bella e più confortevole per la quale viene corrisposto un affitto condiviso. Cominciava  ad apprendere la lingua italiana già a Pabillonis prima sede di arrivo. Si reca quindi a Genova dove frequenta un corso di 2 mesi per ottenere la licenza di vendita. Ottenuta la licenza, comincia a girare per i mercatini nei vari paesi, per le feste e le sagre.

«All’inizio si stava meglio, si lavorava meglio e si guadagnava qualcosa», dice, «ora la crisi e la grande confusione che crea  questa immigrazione indiscriminata così come i comportamenti di molti immigrati soprattutto clandestini, ricadono anche su di noi che ci siamo da tanto tempo. Bisogna comportarsi bene  sempre, essere onesti ed è così che si viene rispettati». Il figlio maggiore di Mousthapha fa il pastore qui in un paese del nostro territorio. Con sacrificio naturalmente. Non può permettersi di avere un’auto anche usata per poter rientrare ogni giorno dal padre e percorrere una trentina di chilometri per andare al lavoro ogni mattina. Sarebbe una buona cosa che qualcuno che è in possesso anche di una vecchia auto, si potesse mettere in comunicazione con lui tramite la redazione.

Mousthapha non concorda con l’immigrato che va a chiedere l’elemosina o che non rispetta le regole e le leggi del paese che lo ospita. «Chi ha buona volontà, un lavoro lo trova sempre per vivere dignitosamente. Ma si stava meglio prima»,  afferma ancora, «l’immigrazione clandestina ci ha creato un sacco di guai, per prima cosa la diffidenza della gente». Mousthapha riesce a ritornare in Senegal dai suoi familiari ogni due anni, una volta all’anno quando gli va bene, perché il viaggio è troppo costoso. »Nel villaggio, mio padre che è vissuto fino a 105 anni, non sapeva neppure dove fosse la capitale del Senegal ma, anche se povero, viveva bene lo stesso nel rispetto delle leggi e delle nostre usanze perché  le carceri, anche in Senegal,  sono spesso piene di gente importante e benestante che  viola però le leggi. Il futuro per me e per i miei figli, conclude,  è tornare nel Senegal, il Paese dove sono nato».

Antonio Corona

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