di Fabiola Corona
_______________________
Inaugurata lo scorso 24 novembre, la mostra d’arte “Apostoli” dell’artista sanlurese Antonio Porru occuperà gli spazi della Basilica di San Saturnino a Cagliari sino al prossimo 30 gennaio. Fuori dagli schemi convenzionali dell’arte contemporanea, Nassiu ci presenta la sua visione del mondo, una restituzione della storicità dell’uomo, una sua liberazione dal consumismo moderno, attraverso delle installazioni pittoriche in cui è la terra a parlare. «Io propongo un arte che nasce dalla storia, che è coinvolgimento, restituzione, è un arte in contrasto con quell’arte che stiamo vivendo, un’arte che per il 99% è imposta dal grande mecenate per cui si occupano gli spazi con una precisa idea di arte che viene imposta e che lo spettatore subisce. L’arte però non è questo, l’arte è un modo di difenderti, è essere quell’1%» così Antonio Porru (Nassiu).
Ci parli di “Apostoli”, la sua mostra d’arte.
«Gli Apostoli sono persone che io frequento, che ho scelto per le loro caratteristiche, non solo fisiche, ma soprattutto esistenziali. L’apostolo è una persona che ha un mestiere e che lo persegue in modo molto passionale, il mestiere degli apostoli diventa per loro una missione: c’è il medico che è un grande medico, l’insegnante, l’atleta, gli artisti… “Apostoli” altro non è che il termine che ho utilizzato per riappropriarmi del gran patrimonio storico e culturale che abbiamo, non importa se si è credenti o meno, siamo comunque figli di questa cultura. Sono circa 35 le persone che ho ritratto per questa mostra, 12 apostoli più i “testimoni”, ossia coloro che è come se avessero assistito alla visione degli apostoli. Ad ogni apostolo ho poi assegnato una porzione di terra e di cielo. Ho tentato di ritrarre l’uomo contemporaneo, non so se ci sono riuscito ma questo era il mio intento».
I suoi ritratti sono frutto di un cercare e un ritrovare l’individuo. Come si sviluppa questo suo processo artistico che trova espressione nell’utilizzo della terra?
«L’alone scuro che ricopre i volti è la testimonianza dell’avvenuto ritratto: spesso questo riesce, altre volte invece no. Affinché il ritratto riesca, ho ho bisogno di liberare l’uomo contemporaneo da questa patina oscura che è il consumismo che abbiamo addosso, la vedo io fisicamente e per poter ritrarre la persona che ho di fronte devo cancellare questa patina oscura. Io cancello il ritratto e poi tento di ritrovarlo, lo faccio più volte sino a quando non sono riuscito a liberare la figura. Voglio che il ritratto mi appaia da un ipotetico passato e non dalla contemporaneità, questo mi dà la possibilità di vedere quell’uomo al di fuori del consumismo, quando ancora questo non c’era. Penso che il ritratto dell’uomo contemporaneo possa esser fatto solo a queste condizioni, questo è stato il mio intento e la mostra è proprio questo, è un ritorno al passato per liberare l’uomo contemporaneo. Io disegno con il carboncino, faccio un processo di impoverimento, è una ricerca verso l’essenzialità dei mezzi, non uso foto, non uso video né informatica, ritorno ad essere un primitivo. I cieli e le terre della mia mostra vogliono riportare l’uomo al primordiale che non è un ritorno nostalgico ma una presa di coscienza: per essere un uomo moderno non puoi nascere dalla modernità. Non uso pitture convenzionali, i miei colori sono fatti dalla terra del posto dove abito: la trito con una macina, la faccio diventare polvere e poi la mischio con una colla per farla aderire sulla tela. La terra ha diversi colori, scelgo le terre in base ai colori che mi servono e qualche volta utilizzo qualche tempera che mischio alla terra se ho bisogno di un colore più vivo. Intervengo in modo non pittorico ma grafico sulla tela, non mi piace la pittura, i troppi colori, perchè penso che viviamo nell’era che ne ha usato di più, siamo invasi dai colori e dalle immagini, anche da quelle in movimento. Questa velocità delle cose mi rende instabile e credo che avvenga un po’ a tutte le menti, l’arte dovrebbe essere la prima ad accorgersi di questo abuso dei colori, delle immagini su noi stessi».
Questa mostra è firmata Nassiu: qual è l’origine di questo suo pseudonimo?
«L’artista, così come viene inteso oggi, deve essere un nome preciso, un nome imposto a tutti i costi, perché ciò che importa è l’immagine non più il prodotto; io detesto questo modo di vedere le cose e infatti negli anni ho giocato molto con i nomi, ho giocato sull’anonimato dell’arte, un periodo firmavo come “anonimo” indicando anche secoli diversi da questo. Da un po’ di tempo a questa parte però mi chiamo così, Nassiu, da quando è morto mio fratello Ignazio, che mio papà chiamava appunto “Nassieddu” o Nassiu. È dal 2007 che firmo con questo nome, è uno sdoppiarmi, sono Antonio ma sono anche Nassiu, è una volontà».
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento