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Economia & Lavoro

Intervista all’esperto di economia e politica previdenziale Mauro Marino:  il ritorno della legge Fornero

Mauro Marino
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di Gian Paolo Pusceddu
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Abbiamo contattato Mauro Marino in vacanza a Porto Pino e che da anni scrive sul nostro giornale di economia e previdenza per conoscere le novità in ambito previdenziale a cinque mesi dal ritorno prepotente della legge Fornero.

Quali sono le novità in ambito previdenziale a quattro mesi dal ritorno della legge Fornero?
«Innanzi tutto devo dire che la legge Fornero non è mai andata nel cassetto e quindi non si può parlare di ritorno dal 1/1/2025. L’ossatura è rimasta quella del 2012. Negli ultimi anni abbiamo solamente assistito ad alcuni interventi limitati nel tempo come le “Quote 100 e 102 e da ultimo Quota 103” che hanno dato ad alcune centinaia di migliaia di persone la possibilità di anticipare il pensionamento se raggiungevano determinati rigidi requisiti, ma l’impianto della legge Fornero è rimasto praticamente il medesimo dal 1/1/2012. Adesso si sta cominciando, lentamente, a riparlare di pensioni ma la vera partita si giocherà in autunno con la presentazione della Nadef a fine settembre e successivamente in ottobre della legge di bilancio e in quell’occasione il Governo dopo quasi due anni di immobilismo sarà costretto a scoprire le carte, a dire finalmente come vuole e se vuole superare la rigidità della legge Fornero che in tredici anni ha fatto risparmiare a scapito dei lavoratori decine di miliardi di euro. È giunta l’ora di restituire, almeno parzialmente ai lavoratori quanto loro scippato in un contesto economico/sociale che, per fortuna, adesso è cambiato. Certamente esiste il problema dei conflitti russo/ucraino e israelo/palestinese che sta fortemente condizionando la nostra economia, ma al netto di ciò il PIL non ne sta risentendo ed anzi molto probabilmente, anche con il grosso beneficio dato dal turismo, supereremo quell’1% di aumento indicato nel DEF. Anche l’inflazione che nei due anni precedenti è stata altissima sta lentamente prendendo una fase discendente dimezzando i dati del 2023».

Ritiene quindi, che ci sia spazio per una nuova riforma previdenziale a partire dal 1/1/2025?

«Assolutamente sì. Dobbiamo semplicemente capire che è necessario modificare il modo di intendere la previdenza che abbiamo avuto in questi ultimi anni, consentendo al lavoratore di scegliere quando abbandonare il mondo del lavoro e dandogli una amplissima possibilità di scelta che parta dai 62 anni fino ad arrivare a 70 anni. Sto parlando della proposta che ho elaborato insieme ad alcuni amici del gruppo UTP e che finalmente comincia a essere “attenzionata” anche dai centri di potere. Concedere, in pratica, una amplissima flessibilità operando delle lievi riduzioni annue a partire dai 66 anni, che diventerebbe l’età del pensionamento ordinario e allo stesso tempo dare degli incentivi a chi decidesse, invece, di fermarsi oltre l’età prevista fino ad un massimo di 70 anni. Le uniche condizioni a questa innovativa proposta UTP sarebbero avere almeno 20 anni di contributi effettivamente versati e un importo che sia almeno 1,5 volte la pensione sociale, vale a dire circa 780 €. Raggiunte queste due condizioni dare a tutti tra i 62 e i 70 anni la possibilità di andare in pensione con un costo per lo Stato molto basso perché quanto speso dall’Erario in più per uscire prima dal mondo del lavoro sarebbe compensato, almeno in parte, da chi invece volesse rimanere oltre l’età di pensionamento ordinario. Questa estate c’è stata la proposta di Alberto Brambilla Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali che copiando la proposta UTP farebbe partire l’età di uscita dal lavoro dai 63/64 anni fino ad arrivare ai 72 anni. Si aspetta poi per ottobre la proposta del CNEL che da voci di corridoio dovrebbe ricalcare la flessibilità in uscita dai 64 ai 72 anni. Ritengo i 72 anni un limite assolutamente insensato, non praticabile e che farebbe dell’Italia il Paese al mondo con la più alta età di pensionamento. Ripeto, la flessibilità deve partire dai 62 anni e arrivare, solo per alcune tipologie di lavoro al massimo ai 70 anni. Questo è fattibile e meno costoso di quanto si pensi».

Sembra effettivamente una proposta sensata, e che supera la rigidità imposta dalla legge Fornero. Cosa farebbe, invece, per chi ha iniziato a lavorare molto presto, e all’attualità deve rimanere al lavoro se donna fino a 41 anni e 10 mesi e se uomo fino a 42 anni e 10 mesi, a cui bisogna aggiungere i tre mesi di finestra?

«Innanzitutto è ora di finirla con le finestre d’uscita che è una presa in giro nei confronti delle persone. Un lavoratore quando raggiunge i requisiti previsti per il pensionamento deve poter andare via subito. Oggi raggiungo i requisiti, domani posso andare in pensione. Bisogna, poi, consentire a tutti uomini e donne che hanno raggiunto i 41 anni di contributi di andare in pensione indipendentemente dall’età e senza alcuna penalizzazione. 41 anni di lavoro e di effettivi versamenti contributivi devono essere sufficienti per andare in pensione mantenendo, ovviamente, il sistema misto fino alla sua naturale conclusione nel 2036. A causa della frammentarietà dei lavori e per il completamento degli studi universitari ormai pochissime persone arriveranno ad avere 41 anni di contributi. Sento affermare che questa misura costerebbe circa sei miliardi l’anno, non è assolutamente così perché, e ne abbiamo avuto la prova con le “quote 100, 102 e 103” non tutti i possibili beneficiari usufruirebbero di tale opportunità e quindi i costi sarebbero molto minori e progressivamente sempre inferiori».

E quali sono, in sintesi, gli altri punti essenziali auspicati da una nuova riforma previdenziale?

«Rilanciare Opzione Donna, distrutta dall’attuale Governo con numeri certificati dall’INPS al limite della presa in giro, mantenimento dell’Ape Sociale, costruire una pensione di garanzia per giovani e donne, dare un forte impulso alla previdenza complementare con detrazioni che siano almeno il 50% di quanto versato e dimezzare il costo del riscatto degli studi universitari».

E per chi è già in pensione?

«Attuare l’indicizzazione piena delle pensioni al 100% per effetto dell’inflazione reale, aumentare la no tax area fino a 10.000 euro di imponibile e attuare una minus tassazione per redditi fino a 35.000 euro di imponibile annuo».

Il tutto sembra però di difficile attuazione in questo momento con le guerre in cui siamo indirettamente coinvolti, un’inflazione ancora non del tutto debellata e la necessità di rifinanziare il cuneo fiscale e la diminuzione a tre delle aliquote irpef?

«Stiamo assistendo a dati record per quanto riguarda l’occupazione, anche di contratti a tempo indeterminato, con un aumento dei versamenti contributivi e nel 2023 anche per effetto della “tax compliance” dei ricavi dalla lotta all’evasione fiscale che hanno superato i 25 miliardi. Gli eventuali costi aggiuntivi potrebbero essere recuperati dall’ulteriore aumento previsto anche nel 2024 di questa importante attività nei confronti degli evasori, dalla non più procrastinabile separazione tra previdenza ed assistenza e dall’istituzione di un blocco alle pensioni oltre i 5.000 euro mensili a cui non corrispondono adeguati versamenti contributivi. Un’ultima cosa voglio dire sulla questione del TFS/TFR dei pubblici dipendenti dove stiamo assistendo ad una situazione paradossale di lavoratori che hanno servito lo Stato ma che dallo stesso Stato sono stati e continuano ad essere discriminati. Nonostante una sentenza della Corte Costituzionale che ha decretato l’incostituzionalità del differimento dei TFS/TFR che ha intimato al Governo di intervenire per ripristinare tale diritto da oltre un anno ancora nulla è successo. Va immediatamente inserito nella legge di bilancio un provvedimento per dare giusta dignità a dei lavoratori in modo che possano continuare a credere ancora in uno Stato di diritto».

RIPRODUZIONE RISERVATA
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ecco qualche nostra proposta….

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