di Gianpiero Mura
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L’oscuro ritornello Andimironai andire nora andira ha affascinato nel tempo scrittori come Salvatore Cambosu, il compositore Luciano Berio e altre persone di cultura, che hanno tutte concordato sul fatto che si tratta di un canto antichissimo.
A mio modesto avviso, il testo fornisce tre chiavi per poterlo decrittare: la prima è “Mironai” o “Mirionai”, che sta per “Mirionima”, colei che ha diecimila nomi, epiteto di cui si fregiava la dea dell’amore e della concordia Tanit; la seconda è Andi, che potrebbe derivare dal verbo transitivo e intransitivo anomalo latino Adeo (“andare verso un luogo o verso una persona”; ma anche “avvicinarsi”, “accostarsi”: venire, quindi). Potrebbe essere, pertanto, l’imperativo presente Adi di quel verbo (accosta, accostati), al quale, nei secoli, con l’evolversi della lingua correntemente parlata, potrebbe essere stata aggiunta la “n”. In questa che ha tutta l’aria d’essere un’accorata supplica, Andi viene ripetuto per ben tre volte. Il fatto che si trasformi poi in andira, secondo me è dovuto unicamente alla necessità di poter meglio memorizzare il ritornello, conferendo musicalità al verso, dal momento che il suo significato comunque non cambia, essendo la radice comune andi (andi-ra) a esprimerlo. Andire, invece, andrebbe scritto andir’‘e (andire de), con la “d” della preposizione eufonica, corrispondente alla preposizione semplice della lingua italiana “da”, che esprime inequivocabilmente moto da luogo; ciò corroborerebbe l’ipotesi avanzata circa il significato di andi, avvalorata anche dal fatto che subito dopo la preposizione è indicato il nome della località di provenienza; ed infatti, la terza chiave è proprio “Nora”, la città. Pertanto, il significato dell’invocazione “Andi Mir(i)onai: andir’‘e Nora, andira!” dovrebbe essere il seguente: “Vieni Tanit: vieni da Nora, vieni!” (a riappacificare gli animi). Va ricordato, al proposito, che a Nora la dea aveva un importante santuario a lei dedicato. Molto verosimilmente la divinità veniva invocata dagli abitanti della città fuggiti verso i paesi dell’entroterra dopo la sua distruzione, per ristabilire l’armonia in famiglia o favorire la riappacificazione degli animi nei villaggi. Essendo stata la città abbandonata tra il 456 ed il 466 d. C., si potrebbe ipotizzare che questa invocazione risalga alla tarda antichità romana: poco prima, quindi, dell’inizio del Medioevo, che, convenzionalmente, si fa risalire al 476 d. C. con la caduta dell’Impero romano d’Occidente. Lo dimostrerebbe anche il fatto che la supplica in origine doveva essere pronunciata in latino; adattata poi, nei quindici secoli successivi, alla lingua parlata nel Sud dell’isola.
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