di Rinaldo Ruggeri
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Da tempo, anche, persone stimate e colte come Stefano Rodotà, Luigi Manconi e altri illustri studiosi, si sono spesi nello spiegarci l’utilità e la bontà degli ordinamenti sulla “privacy”. Personalmente ho apprezzato e stimo tutti quegli intellettuali che hanno lavorato nel campo del diritto e delle scienze sociali. Ma ho dei dubbi riguardo alla privacy, anche se le argomentazioni che le sostengono hanno un certo fondamento.
Si dice che, in uno Stato ideale, dovrebbe esistere una separazione importante fra l’interesse individuale e quello collettivo, quindi non dovrebbe esserci invasione di campo. Lo Stato, che rappresenta la collettività, non dovrebbe soffocare le libertà individuali.
La democrazia moderna si fonda su questo equilibrio. Ma sarebbe un equilibrio instabile perché determinato dai rapporti di forza che, storicamente, si generano fra cittadini e potere.
Oggi, il potere degli Stati soccombe di fronte al dominio delle multinazionali che possiedono ricchezze enormi da mettere, in ombra, perfino il bilancio di uno Stato come quello italiano.
Questi moloch dell’economia e della finanza non solo condizionano gli Stati sovrani, ma anche, la vita privata del cittadino.
Questi pescicani non pagano le tasse come i comuni cittadini e, se decidono di pagarle, stabiliscono loro, dove e quanto versare.
Altro che privacy, tutto il Social Network, ormai, controlla quasi tutto della vita intima dei cittadini, dai gusti culinari alle tendenze sessuali.
In un contesto di relazioni, dominato e controllato da Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, ecc., e dai sevizi segreti nazionali ed internazionali, appellarsi alla privacy è puramente illusorio.
Si tratta di scendere in guerra armati di arco e frecce contro un esercito in possesso delle armi più sofisticate.
È una guerra impari, dove la vittoria è già scritta. Anche i sostenitori della privacy sono consapevoli che le forze in campo sono squilibrate; non è il caso di riproporre la leggenda di Davide e Golia. La lotta per le libertà individuali, e quindi per un’espansione della democrazia, non può basarsi sui divieti.
Questo tipo di tutela della privacy favorisce coloro che hanno tanto da nascondere: mafiosi, evasori fiscali, truffatori di ogni genere.
Per quale motivo si attenta alla privacy se il cittadino che paga le tasse vuol conoscere la ricchezza reale di certi noti evasori?
In questo periodo di pandemia, nel settore dell’impresa, grande o piccola, tutti denunciano delle perdite per chiusura delle attività. Si chiede un sollievo finanziario. Se lo Stato deve ristorare le perdite, si sappia che le risorse vengono dai cittadini che pagano le tasse. Come ha detto l’on. Bersani, il rimborso va erogato in una misura congrua in base alla denuncia del reddito dell’anno precedente.
Suona strano che, non pochi mesi fa, certi individui quando si trattava di pagare le tasse erano poveri in canna, oggi, denunciano perdite astronomiche di decine o centinaia di milioni. Speriamo che questi lestofanti non invochino la privacy se la Finanza vuol veder chiaro sul loro patrimonio.
Da tempo, anche, persone stimate e colte come Stefano Rodotà, Luigi Manconi e altri illustri studiosi, si sono spesi nello spiegarci l’utilità e la bontà degli ordinamenti sulla “privacy”. Personalmente ho apprezzato e stimo tutti quegli intellettuali che hanno lavorato nel campo del diritto e delle scienze sociali. Ma ho dei dubbi riguardo alla privacy, anche se le argomentazioni che le sostengono hanno un certo fondamento. Si dice che, in uno Stato ideale, dovrebbe esistere una separazione importante fra l’interesse individuale e quello collettivo, quindi non dovrebbe esserci invasione di campo. Lo Stato, che rappresenta la collettività, non dovrebbe soffocare le libertà individuali. La democrazia moderna si fonda su questo equilibrio. Ma sarebbe un equilibrio instabile perché determinato dai rapporti di forza che, storicamente, si generano fra cittadini e potere. Oggi, il potere degli Stati soccombe di fronte al dominio delle multinazionali che possiedono ricchezze enormi da mettere, in ombra, perfino il bilancio di uno Stato come quello italiano. Questi moloch dell’economia e della finanza non solo condizionano gli Stati sovrani, ma anche, la vita privata del cittadino. Questi pescicani non pagano le tasse come i comuni cittadini e, se decidono di pagarle, stabiliscono loro, dove e quanto versare. Altro che privacy, tutto il Social Network, ormai, controlla quasi tutto della vita intima dei cittadini, dai gusti culinari alle tendenze sessuali. In un contesto di relazioni, dominato e controllato da Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, ecc., e dai sevizi segreti nazionali ed internazionali, appellarsi alla privacy è puramente illusorio. Si tratta di scendere in guerra armati di arco e frecce contro un esercito in possesso delle armi più sofisticate. È una guerra impari, dove la vittoria è già scritta. Anche i sostenitori della privacy sono consapevoli che le forze in campo sono squilibrate; non è il caso di riproporre la leggenda di Davide e Golia. La lotta per le libertà individuali, e quindi per un’espansione della democrazia, non può basarsi sui divieti. Questo tipo di tutela della privacy favorisce coloro che hanno tanto da nascondere: mafiosi, evasori fiscali, truffatori di ogni genere. Per quale motivo si attenta alla privacy se il cittadino che paga le tasse vuol conoscere la ricchezza reale di certi noti evasori? In questo periodo di pandemia, nel settore dell’impresa, grande o piccola, tutti denunciano delle perdite per chiusura delle attività. Si chiede un sollievo finanziario. Se lo Stato deve ristorare le perdite, si sappia che le risorse vengono dai cittadini che pagano le tasse. Come ha detto l’On. Bersani, il rimborso va erogato in una misura congrua in base alla denuncia del reddito dell’anno precedente. Suona strano che, non pochi mesi fa, certi individui quando si trattava di pagare le tasse erano poveri in canna, oggi, denunciano perdite astronomiche di decine o centinaia di milioni. Speriamo che questi lestofanti non invochino la privacy se la Finanza vuol veder chiaro sul loro patrimonio.
Rinaldo Ruggeri
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