di Mauro Marino
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2.858.600.000.000, lo riscrivo in lettere duemilaottocentocinquantottomiliardieseicentomilioni di euro, si fa perfino fatica a scrivere una cifra così spropositata, eppure questo è l’enorme debito pubblico che attanaglia l’Italia e che fa sì che tutti gli italiani, compresi i neonati, abbiano un debito di oltre 48.000 euro. Innanzitutto, per capire di cosa stiamo parlando proviamo a dare una definizione di cosa è il debito pubblico che possiamo definire come il debito che ha lo Stato nei confronti di soggetti economici nazionali o esteri che possono essere privati, imprese, banche, Stati esteri che hanno sottoscritto un credito nei confronti dello Stato comprando, per esempio, obbligazioni o Titoli di Stato come BOT, BTP, CCT, CTZ ecc. destinato a coprire il fabbisogno monetario. Debito pubblico è anche il deficit pubblico iscritto nel bilancio dello Stato cumulato negli anni. Il dato singolo però non sempre è significativo perché tale importo del debito pubblico va rapportato anche con il PIL (prodotto interno lordo) che è il principale indicatore della salute di un sistema economico ed è il valore in un determinato periodo di tempo risultante dagli scambi economici dello Stato che è determinato dalla vendita di prodotti e servizi. Più aumenta il PIL e più basso è il valore di questo indicatore debito/PIL che l’UE vorrebbe mantenere al 60% e che in Italia è attualmente al 143,5% il secondo più alto dopo la Grecia mentre la media degli Stati che compongono l’EU all’attualità è all’83,7%. Con tale indicatore che si posiziona ben oltre i grandi Paesi europei si comprende facilmente come la situazione dei conti pubblici italiani sia di grande sofferenza.
Andando indietro nel tempo vediamo come negli anni Sessanta che furono un periodo di grande crescita economica il rapporto debito/PIL era molto basso sotto al 30%, ma nel trentennio che va dal 1960 al 1990 vi fu progressivo aumento della spesa pubblica che passò dal 29% del PIL dell’anno 1960 al 58,5% dell’anno 1990. Furono molti i motivi che determinarono tale vertiginosa maggiore spesa che fu causata dall’istituzione in quegli anni di un esteso sistema di welfare state (stato sociale) che ancora non esisteva in Italia e che unito ad un sistema previdenziale molto generoso dove gli assegni delle pensioni non corrispondevano agli effettivi versamenti effettuati, come il sistema retributivo e le baby pensioni di cui ancora stiamo scontando gli effetti, nonché l’effettuazione di finanziamenti di grandi opere infrastrutturali quasi tutte a debito fece aumentare ancora ulteriormente questo rapporto che continuò negli anni sempre più a crescere passando dal 121% dell’anno 1994 al 132,6% del 2013 per arrivare all’attuale 143,5%. In termini puramente numerici, invece, il debito pubblico cumulato è passato dai 600 miliardi dell’1988 (dato già trasformato in euro) ai 1.400 miliardi dell’anno 1996 ai 2.000 miliardi del 2009 fino ad arrivare all’enorme cifra di 2.858 attuali.
Nella NADEF che è la nota di aggiornamento al DEF (Documento di Economia e Finanza) corposo documento di oltre 130 pagine che riporta lo stato dei conti pubblici con le previsioni per il prossimo triennio, tra grafici e tabelle quello che mi ha particolarmente impressionato sono gli importi che riguardano gli interessi passivi. In pratica gli interessi che lo Stato italiano paga ogni anno per finanziare il debito pubblico e che di record in record è arrivato a 2.858 miliardi. Questo costringe l’Esecutivo (e gli italiani) a pagare per i prossimi tre anni 285 miliardi di interessi. Per l’anno 2024 la previsione scritta sulla NADEF è di 88 miliardi, per l’anno 2025 si arriva a 94 miliardi e per l’anno 2026 si raggiunge addirittura la somma di 103 miliardi di euro. Sono cifre da capogiro causate da decenni di scellerata gestione dei conti pubblici che viene riversata sulle nuove generazioni. Se si pensa che la LdB che è la più importante legge contabile dello Stato e quella che determina quali saranno le entrate e le uscite nonché le coperture dell’anno successivo “pesa” per circa 30 miliardi significa che nel solo 2024 bisognerà trovare i soldi per pagare di interessi come tre LdB messe insieme.
Ormai siamo arrivati al limite ma, purtroppo, i nostri politici insensibili all’enorme problema anziché impegnarsi ad attuare un piano di riduzione graduale di questo enorme fardello, per puri scopi elettorali e per guadagnarsi la prossima rielezione senza alcuna preoccupazione delle giovani generazioni e dei loro figli continuano a fare proposte costosissime e ad approvare leggi di bilancio che sono tutte a debito. È una catena senza fine, è come se in una famiglia che è già indebitata di diverse decine di migliaia di euro si continui a comprare altri beni e per far ciò si ricorra ad altri debiti con banche o finanziarie. Questo andazzo, inevitabilmente, se non si interviene al più presto porterà al tracollo e al fallimento. Fino ad ora abbiamo avuto la speranza che il nostro debito è sempre stato comprato da banche, Stati esteri e negli ultimi anni moltissimo dalla BCE, questo perché comunque i fondamentali economici dell’Italia sono solidi e l’Italia è pur sempre una delle maggiori potenze economiche europee. Da un po’ di tempo, però la BCE ha considerevolmente ridotto l’acquisto di titoli di stato ed allora ci si è rivolti con le ultime emissioni come, per esempio, quella del BTP Valore alla clientela “retail” vale a dire i risparmiatori privati. Questi, attratti dagli appetitosi rendimenti tutti sopra il 4% annuo hanno acquistato in massa tali titoli che remuneravano in maniera crescente i rendimenti raggiungendo i 18 miliardi nel mese di giugno e i 17 miliardi in ottobre. Solo nel 2023 scadranno titoli di Stato per oltre 260 miliardi e si pensa a nuove emissioni per ulteriori 50/55 miliardi. È chiaro che, per ridurre il debito, bisognerebbe invece riemettere sul mercato meno titoli di quelli in scadenza ma si va nella direzione opposta. Oltretutto se nel futuro non ci saranno adeguate garanzie economiche nonostante gli interessi molto vantaggiosi nessuno comprerà più titoli di stato e ci si potrebbe trovare in gravissima difficoltà per finanziare le spese correnti italiane, in particolare pagare le pensioni, gli stipendi dei dipendenti pubblici e garantire i finanziamenti per la sanità.
Non arriveremo a queste catastrofiche previsioni perché, ripeto, l’Italia nella UE è pur sempre la terza potenza economica, ma bisogna invertire la rotta e tutte le forze politiche insieme mettersi d’impegno a non fare in campagna elettorale promesse irrealizzabili, così da attuare un piano lento ma progressivo di riduzione del debito e cercando di implementare il PIL evitare di pagare di soli interessi sul debito ogni anno come tre LdB.
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