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ATTUALITÀ

L’Italia oggi, tra “paradure” e privilegi

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di Giuseppe Pisano*

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Prendo lo spunto dalla nota generosità dei sardi e dall’antica usanza della “paradura”: questa, come sappiamo, è l’arte antica di colmare i vuoti e nacque nell’ambiente agropastorale, quale forma di sostegno che vedeva mobilitati tutti gli allevatori quando uno di essi, per furto o calamità naturali, perdeva il suo gregge.
Chi non ricorda “sa paradura” dei pastori sardi che nel 2017 donarono 1000 pecore ai colleghi di Cascia, ai quali il terremoto decimò buona parte delle loro greggi e chi non ricorda, nell’anno successivo, “sa paradura di ritorno” dei pastori umbri che donarono, ai colleghi sardi, 1000 agnelli nati dalle pecore ricevute in dono l’anno prima.
Dietro una così ammirevole generosità vi erano anche ragioni di economia politica, in quanto i pastori
Anche l’Italia di questi giorni ha mostrato grande solidarietà da parte di imprenditori, artisti, professionisti, semplici cittadini che, con i loro gesti, tra donazioni e volontariato attivo, hanno contribuito a rendere meno difficile questo momento, ma c’è una parte degli italiani di cui oramai in tanti vanno parlando. I privilegiati.
In un contesto famigliare monoreddito in cui il capofamiglia perde il lavoro, può costui continuare a far godere i propri cari del privilegio di andare in pizzeria una volta al mese? Ragioni di innegabile e basilare economia politica imporrebbero una rinuncia. Ma allo stesso modo, venendo alla nostra Italia, come pensiamo di poter andare avanti ed evitare che lo “stivale” affondi se non si mette mano alla spesa iniziando, in omaggio al principio solidaristico della “paradura”, non solo a ridurre gli sprechi, ma a livellare le retribuzioni di una parte dei dipendenti pubblici che, almeno in questo contesto, sono un nota stonata ma, soprattutto, non sono sostenibili, tanto più nella prospettiva di dover necessariamente dirottare risorse per garantire la ripresa economica?
Sia ben chiaro che nell’Italia di ieri certe retribuzioni potevano trovare anche la loro giustificazione, considerato il diverso contesto economico, ma in quest’ultimo decennio queste hanno di certo contribuito ad appesantire un sistema già al collasso.
Ecco solo alcuni esempi: un europarlamentare percepisce tra i 16.000 e i 19.000 euro lordi al mese, circa il doppio di quanto percepivano gli omologhi inglesi; sempre su base mensile un senatore percepisce 14.634,89 euro netti; un deputato 13.971,35 euro netti; un magistrato con vent’anni di carriera – si parla dei cinquantenni – circa 5.800 euro; un magistrato di Corte d’Appello 7.000 euro; un magistrato di Cassazione tra gli 8.000 e i 15.000 euro; i magistrati della Corte Costituzionale percepiscono tra i 360.000 e i 500.000 euro all’anno.
Sebbene il Quirinale abbia ancora dei costi molto elevati, almeno il nostro presidente Mattarella, che percepiva la somma annua di 240.000 lordi per ricoprire la prima carica dello stato e quella lorda annua di 55.000 euro come pensione di professore universitario, ha dato il buon esempio imponendosi un limite lordo annuo di 185.000 euro.
Nel 2011 l’allora premier Mario Monti, per quanto da molti criticato, incaricò una commissione di livellare le retribuzioni delle cariche pubbliche alla media europea, ben inferiore, ma non se ne fece più nulla. Non conosco le ragioni ma non necessita un grande sforzo per comprenderle.
In tema di stipendi dei parlamentari si evidenziano, in ultimo, la proposta di tagli contenuta nel programma presentato dal Movimento Cinque Stelle nell’ultima campagna elettorale. Prima di loro, nella campagna elettorale del 2013 e con il senatore Vannino Chiti, fu il Partito Democratico a proporre una riduzione degli stipendi dei parlamentari.
Ora governano insieme. Lasciamo che passi la pandemia e attendiamo fiduciosi.
C’è, tuttavia, un problema di ordine giuridico da affrontare ed è quello dei diritti acquisiti. Del resto, almeno apparentemente, come si può dare torto a chi è stato assunto con concorso pubblico e regolare contratto.

Gustavo Zagrebelsky

Proviamo a dare un risposta partendo da un’intervista rilasciata a Repubblica dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale prof. Gustavo Zagrebelsky, giudice della Corte Costituzionale dal 1995 al 2004 e poi Presidente della stessa Corte da tale anno. Questi, riferendosi all’attuale contesto e richiamando la Costituzione, ha ricordato che il diritto alla vita ed alla salute sono diritti fondamentali, per cui la libertà di circolazione e di riunione può essere limitata per ragioni di salute, di sicurezza ed incolumità pubblica. La Costituzione, dunque, consente di adattare la legislazione al contesto sociale. In sintesi lo scopo giustifica i mezzi. Non possiamo non concordare con il Prof. Zagrebelsky anche perché è proprio la Costituzione che ci dovrebbe consentire di superare l’impasse dei diritti acquisiti.
Secondo l’art. 2 della Costituzione, la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (caro lettore, la paradura è in Costituzione!). Il successivo art. 3 sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Richiamo, infine, l’art. 4 per il quale la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Bastano pochi articoli della nostra Carta fondamentale per poter affermare che i diritti acquisiti sono sempre relativi e possono mutare, anche in peggio, davanti ad un contesto come quello attuale. Del resto, se un commerciante deve campare con una pensione di 1.000 euro, non si vede perché qualcuno tra i tanti privilegiati non possa fare qualche rinuncia se necessaria al riassetto economico dell’Italia.
Lontani dall’idea della “Livella” del compianto Totò, che guarda ai morti, ci auguriamo solo che chi ci amministra in terra sappia e decida di usare il “livello” e farsi promotore di quel senso di giustizia oramai perduto, dalla cui ceneri possono nascere reazioni degne degli Shardana.
Da Sanluri, capoluogo dell’ex provincia del Medio Campidano, la più povera d’Italia (a buon intenditor…)

*Avvocato

RIPRODUZIONE RISERVATA
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