di Roberto Loddi
de Santu ‘Engiu Murriabi
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Le prime notizie sull’impiego del grano da parte dell’uomo sono veramente lontane, risalgono infatti a circa 10.000 anni.
Il genere umano nel tempo scoprì che sbriciolando le spighe e pestandole con mezzi rudimentali, si poteva ottenere un semolato. In seguito gli uomini scoprirono fortunosamente le prime tecniche manuali dell’impasto, dal quale ricavavano dei dischi appiattiti, simili alle attuali spianate sarde, come il pane tipico di Ozieri in provincia di Sassari, cotto su pietre infuocate dal sole, così come accadde durante l’esodo degli ebrei dall’Egitto, che casualmente scoprirono anche il processo di lievitazione, ma questa è tutta un’altra storia.
Siamo così giunti al quinto secolo a.C., data alla quale si fa risalire il primo tipo di pasta lessata nell’acqua. Tuttavia, come viene citato nel libro “Le ricette per il piacere di una vita sbagliata” di Learco Learchi d’Auria, nel 450-385 a.C., il commediografo greco Aristofane, figlio di Filippo del demo di Cidateneo e il poeta romano Quinto Orazio Flacco di Venosa (autore dell’espressione “cogli l’attimo – afferra il giorno”), utilizzano termini come “legano” dal greco e “laganum” dal latino, che indicano un impasto di acqua e farina tirato e tagliato a strisce, proprio come le attuali tagliatelle. Questo formato di pasta, adesso in uso in tantissime ricette, una volta era considerato cibo dei poveri, anche se ben presto ottiene una tale popolarità che il gastronomo e cuoco romano Marco Gavio Apicio, nel quarto libro del suo trattato “De re coquinaria” descrive dettagliatamente i termini di preparazione ed i condimenti della pasta, ipotizzando che tale ricetta fosse già nota al popolo.
Nel quarto secolo a. C. a Cerveteri nella tomba della “Grotta Bella”, sono stati scoperti dei rilievi raffiguranti utensili in uso ancora oggi per la lavorazione della pasta, come la tavola di legno sulla quale si fa e si spiana la pasta col matterello e la rotella dentata per ritagliarla, che confermano la diffusione di questa pasta.
Si pensa siano stati gli arabi durante il loro dominio in Sicilia a far conoscere la pasta, in quanto era un ingrediente congeniale ad ogni circostanza e consentiva di avere enormi quantitativi di approvvigionamenti nelle dispense per sfamare in diverse occasioni eserciti e moltitudini di persone.
Il geografo e viaggiatore arabo Muhammad al-Idrisi nel 1154 nel suo “Il libro di Ruggero”, descrive un’area della Sicilia chiamata Trabia, dove si trovano tantissimi mulini idonei alla macinatura del grano e dal quale si ricavava una farina adatta alla preparazione di un tipo di pasta nota come “itrya”, dall’arabo, itryah, (focaccia tagliata a strisce), che veniva spedita con le navi in tutto il Mediterraneo, sia nei porti musulmani che in quelli cristiani.
Non a caso nei ricettari e nei trattati del trecento e del quattrocento si leggono ricette svolte con la tria (pasta), tanto è vero che per un lungo periodo in Sicilia era consuetudine del ceto aristocratico prevedere nelle feste e nei menu delle occasioni importanti i “maccaruna” ziti o maccheroni del fidanzato.
È comunque grazie ai liguri e alla loro estesa rete commerciale, che la pasta si diffonde in tutta la penisola. Probabilmente è con l’arrivo dei pegliesi provenienti da Tabarka (isola tunisina) nel 1736 a Carloforte in Sardegna che gli isolani iniziarono ad apprenderne le tecniche di lavorazione, della farina, dando poi vita a innumerevoli formati di pasta, come per esempio gli gnocchetti sardi, malloreddus, maccarrones de cioliriu, o, cioliri, cigiones, ciciones, macaone caidos, macarones de punzu, cravaos, e tanti altri nomi ancora.
Era, e ancora oggi resta, un indiscusso primo piatto regale della cucina sarda. Questo tipo di pasta viene preparato manualmente con semola di grano duro, acqua, sale e si modella utilizzando un crivello di giunco, cioliriu, cioliri, chiliros, ottenendo dei piccoli gnocchetti panciuti rigati e ruvidi (peculiarità che li rende ideali per insaporirsi con ogni tipo di condimento), chiamati, mallororeddus, vitellini da malloru, vitello.
La tecnica di preparazione è quella di un tempo, si impasta la semola con dell’acqua tiepida leggermente salata, che può essere aromatizzata con zafferano e con il composto ottenuto dopo averlo appiattito, si cavano delle stringhe che poi vengono tornite, quindi tagliate a pezzetti di poco più di due centimetri e subito dopo fatti rotolare con la pressione del pollice sul crivello o una tavoletta rigata, ottenendo così i classici gnocchetti con il dorso rigato.
La terra natale dei, malloredus, è il Campidano, poi diffusi in tutta l’Isola con i differenti nomi già citati.
Gli gnocchetti sono buoni in tutte le salse, un primo piatto presente nelle tavole domenicali, nelle festività pasquali, in quelle natalizie, nelle grandi ricorrenze e soprattutto nei matrimoni e… nel quotidiano. Come dice il saggio: sposa qualcuno che sappia cucinare, l’amore passa… la fame no!
Ingredientis:
per i malloreddus: g 600 di farina di grano duro di Sardegna, acqua e sale q.b., per il condimento: 3 cipollotti, 2 spicchi d’aglio, g 400 di pasta di salsiccia sarda preferibilmente non condita con i semi d’anice, g 200 di polpa di maiale battuta a coltello, g 600 di polpa di pomodori freschi ridotta a poltiglia, zafferano San Gavino, 1 foglia di lauro,lau, un ciuffo di basilico, vino tipo vernaccia, g 80 di pecorino sardo stagionato grattugiato, strutto suino, olio extravergine d’oliva, zucchero comune, noce moscata, sale e pepe di mulinello q.b.
Approntadura:
disponi la farina setacciata a fontana su un piano di lavoro e al centro tuffaci una presa di sale e tanta acqua tiepida, quanta ne occorre per ottenere un impasto liscio e malleabile che farai riposare avvolto in luogo fresco per mezz’ora. Nel mentre affetta a velo i cipollotti e versa il ricavato dentro a un capace recipiente di terracotta, tianu mannu, insieme a una noce di strutto, un generoso giro d’olio, l’aglio che poi eliminerai e dopo cinque minuti aggiungi la salsiccia, la polpa di maiale e lascia rosolare il tutto per altri cinque minuti. Passato il tempo, bagna il condimento con mezzo bicchiere di vino e quando sfumato, unisci la polpa di pomodori, un cucchiaino di zucchero, il lauro e prosegui dolcemente la cottura per un’ora. Intanto che il sugo cuoce, prepara gli gnocchetti formando dei rotolini di pasta grossi come una matita, tagliali a pezzetti di tre centimetri e con l’aiuto dell’apposito canestro rigato, cioliriu, oppure una tavoletta rigata, forma i, maccarrones, malloreddus, gnocchetti sardi e man mano che li prepari allargali sul piano di lavoro infarinato ad asciugare. Nell’attesa che questo accada, regola di sale il sapore dell’intingolo, profumalo con una grattata di noce moscata, impreziosiscilo con una presa di zafferano e una generosa macinata di pepe. Fatto, lessa gli gnocchetti in abbondante acqua salata a bollore e appena al dente, scolali direttamente nel recipiente del sugo, aggiungi il basilico spezzettato, il formaggio e amalgama accuratamente il tutto a fiamma vivace, giusto il tempo che occorre per fare insaporire gli ingredienti. Servi i, maccarrones, immediatamente cospargendoli con un ulteriore macinata di pepe. Vino consigliato rosso: Monica di Sardegna fermo, dal sapore gradevole, morbido, vellutato e asciutto.
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