di Rinaldo Ruggeri
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Si muore di lavoro, si muore di Covid, la ragione che genera queste morti è la stessa, il famelico bisogno di ricchezza. Il dio denaro ha sostituito il Dio delle religioni, questa sacrosanta verità viene celata con ostentazioni di icone religiose. La difesa della vita, un caposaldo della religione cattolica, non si difende legandosi al collo il rosario o appuntandosi al petto un’immagine sacra, ma operando di conseguenza. La difesa della vita è operare per il salvataggio dei naufraghi in mezzo al mare; è impedire la diffusione dell’epidemia rispettando le regole di chiusura; è, anche, rispettare le regole antinfortunistiche nei luoghi di lavoro. Per arricchirsi c’è tempo, è per vivere che, talvolta, manca il tempo.
Nel mese di maggio, il tempo per vivere: è mancato alle centinaia di naufraghi nel nostro Mediterraneo; è mancato alle centinaia di malati di Covid che continuano a morire; è mancato alla lavoratrice tessile di 22 anni Luana D’Orazio inghiottita dalla macchina presso la quale lavorava; è mancato, in provincia di Bergamo, all’edile di 46 anni, Maurizio Gritti; è mancato ad Andrea Recchia di 37 anni, operaio in un’azienda di mangimi di Sorbolo; è mancato a Elisabetta D’Innocenzo di 52 anni, in seguito a un’esplosione, in un’azienda in cui si produceva cannabis legale; è mancato a Marco Oldrati di 52 anni, caduto da un ponteggio in un cantiere a Tradate; è mancato a un giovanissimo lavoratore di 19 anni di Bergamo. Tutto è accaduto nelle prime settimane di maggio, mentre scrivo il mese non è ancora terminato. Secondo i dati ufficiali Inail, nei primi tre mesi di quest’anno (gennaio-marzo 2021), sono avvenuti 143 infortuni mortali.
Un tempo queste vittime del lavoro venivano chiamate “morti bianche”. Quanta ipocrisia, quanta vigliaccheria nel nascondere degli assassinii che hanno esecutori e mandanti. La mancanza di sensibilità verso questo tipo di morti denota lo sfascio culturale della nostra società. Certo, questa mentalità, in larga misura, appartiene alle classi dirigenti produttive, ma, essendo diventato un fatto culturale sociale, coinvolge anche le classi subalterne. Nei cantieri, nelle fabbriche, nelle campagne e perfino nelle famose cucine dei ristoranti anche i lavoratori, per dimostrare al capo o al padrone, che sono più veloci e non dei perditempo, spesso in concorrenza con i colleghi di lavoro, ignorano le norme antinfortunistiche. Ormai è un comune sentire della nostra classe padronale, sia a livello di grossa azienda che di bottega artigiana, che le “troppe” norme antinfortunistiche rallentano la produzione e di conseguenza frenano i guadagni. Ritorniamo al punto di partenza o al via, come nel gioco del Monopoli, il problema sono i soldi e come arricchirsi, tutti gli ostacoli che si frappongono in questo cammino vanno eliminati, e la vita delle persone è ostacolo verso l’Eldorado.
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