di Giovanni Angelo Pinna
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Un termine che, oggi, ha quasi fatto tremare molte imprese: una realtà virtuale, questa è, dove è inesistente la più vera interazione tra persone (quella che quotidianamente incontriamo da quando ci svegliamo la mattina fino a quando si chiudono gli occhi la notte.
Un luogo quasi senza confini ma rappresentato tridimensionalmente e nel quale, ogni persona che vi partecipa può animare il proprio “avatar” (la copia digitale della propria persona reale).
Ogni partecipante, proprio come nella vita reale, potrà acquistare terreni, in essi costruirci immobili e fare circolare la moneta, che in questo caso è rappresentata da criptovalute effettuando un cambio dalle più comuni monete di mercato, acquistando qualsiasi cosa oppure generare guadagno vendendo, sempre nel Metaverso, propri beni o servizi.
Tutto questo animando il proprio avatar usando tastiera e mouse, il proprio smartphone oppure indossando tute ultra tecnologiche e caschi per realtà virtuali.
Si è portati a pensare che il Metaverso sia Facebook, ma così non è. Il termine Metaverso venne coniato nel lontato 1992 da Neal Stephenson in un libro che parla, appunto, di fantascienza. Facebook ha “solo” preso la palla al balzo anche per fare fronte al calo di utenze ed utilizzi del social ormai divenuto il più famoso al mondo.
Esistono però tantissime realtà che, oggi, basano il proprio business sulla tecnologia del Metaverso e, tra queste, molte sono state fondate proprio in Italia: Coderblock con l’ambizione di proporsi alle imprese offrendo loro uffici virtuali per il lavoro da remoto e spazi per la didattica e l’educazione virtuale, Stargraph per il collezionismo digitale e l’intrattenimento, Reasoned Art per la cultura e turismo, CinTech per la cripto arte… ma ne esistono tantissime altre e moltissime di più se si guarda a livello mondiale.
Non è ancora ben chiara quella che sarà la tendenza del futuro, se le imprese si sposteranno definitivamente nel Metaverso, se non esisterà più un luogo fisico da visitare se non per quei servizi primari (acquistare alimenti e poco altro) o se la maggior parte del mercato, del business, sarà delocalizzato in questo universo virtuale.
È però chiara la curva che, ad oggi, è associata sulla capacità di questa realtà virtuale di generare fatturato: miliardi di euro/dollari già spesi dalle persone per partecipare alla vita in questo mondo fatto di bit.
Per non parlare della propensione delle persone a convertire propri rispari in criptovalute per acquistare abiti unici, personalizzati per il proprio avatar in modo da risaltare “tra la folla” o, nei casi più eclatanti, la propensione a spendere centinaia di migliaia di euro per acquistare rappresentazioni digitali di Yatch, auto ed oggetti extra lusso anche ai soli fini collezionistici o, ancora, acquistare intere pellicole (film) o parti di esse il tutto certificato garantendo, nero su bianco (sempre digitalmente), l’autenticità ed il possesso.
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