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Montevecchio, trent’anni senza miniera

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di Cinzia Mereu
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A dare avvio alla storia moderna della miniera di Montevecchio fu un prete originario di Tempio, Giovanni Antonio Pischedda, il quale, attratto dal grande potenziale minerario che il territorio poteva offrire, nel 1842 riuscì a ottenere un permesso di ricerca di scavo per 25 quintali di galena lungo il filone di Montevecchio.

Affascinato dalle opportunità che questa impresa poteva offrirgli si mise alla ricerca di capitale che potesse permettergli di portare avanti gli scavi. A Marsiglia si imbatté in un giovane Giovanni Antonio Sanna, un rivoluzionario di origini sarde, di stanza in Francia per questioni commerciali.

Ben presto i due riuscirono ad accordarsi e a creare una società con lo scopo di chiedere al re d’Italia concessioni in campo minerario. Quest’ultimo si rifiutò di concederle dal momento che Pischedda era un sacerdote e la chiesa non poteva essere coinvolta in attività a scopo di lucro.

Solo nell’aprile del 1848, una volta estromesso il lungimirante sacerdote dalla società, Sanna riuscì ad ottenere dal re Carlo Alberto la concessione perpetua per lo sfruttamento della miniera di Montevecchio, che di lì a poco diventerà una delle più importanti del regno.

È una storia durata quasi centocinquanta anni quella della miniera di Montevecchio, interrotasi nel maggio del 1991, esattamente trent’anni fa.

Ora, di quello straordinario complesso, meravigliosamente avanzato, industrializzato e moderno, non rimangono altro che le macerie, a far da contrasto con una natura selvaggia, che sembra quasi volersi riprendere i suoi spazi.

Un panorama a tratti macabro circonda il borgo di Montevecchio, che pare quasi sospeso nel tempo, quasi da rendere impensabile che lì, appena trent’anni fa, ancora le miniere erano in attività.

A regnare sono l’abbandono e l’inquinamento, dovuto ai tanti, troppi materiali, che ancora ricoprono il sottosuolo della zona. Nulla è stato fatto per bonificare il territorio, riqualificare i tanti edifici abbandonati (ma soprattutto renderli agibili) o sfruttare al meglio le vecchie frazioni minerarie, dando nuove opportunità in termini occupazionali, ma soprattutto turistici.

 

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