di Mauro Marino
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All’interno della manovra economica che il Governo ha licenziato alla fine di ottobre e trasmesso al Parlamento per iniziare l’iter che porterà alla sua approvazione entro il 31 dicembre e che la Premier Meloni ha definito “seria e realistica, che non disperde le risorse ma le concentra su grandi priorità “ il capitolo sulla previdenza sta destando ansia e preoccupazione nelle case dei cittadini italiani perché le novità introdotte sono peggiorative rispetto all’attualità soprattutto per quanto riguarda l’accesso al pensionamento anticipato. Già nella conferenza stampa seguita all’approvazione della manovra da parte del Consiglio dei Ministri il Ministro del MEF Giorgetti aveva accennato al fatto che le norme per accedere al pensionamento sarebbero state più restrittive rispetto alla situazione attuale, ma, onestamente, non ci si aspettava fino al tal punto.Tutti e tre gli istituti di Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale che consentono un anticipo rispetto al pensionamento ordinario di vecchiaia fissato a 67 anni di età e rispetto alla pensione chiamata “anticipata” ora fissata per versamenti contributivi di almeno 42 anni e 10 mesi gli uomini e 41 anni e 10 mesi le donne a cui bisogna aggiungere le finestre di tre mesi, vengono peggiorati.
QUOTA 103
Resta la possibilità di accedere al pensionamento alle persone che entro la data del 31/12/2024 raggiugono entrambi i requisiti di 41 anni di contribuzione sommati a 62 anni di età con la grave modifica che l’assegno previdenziale per chi opterà tale scelta sarà calcolato interamente col sistema contributivo anziché con il sistema misto che comporterà una diminuzione della pensione almeno del 15%. Vengono inoltre aumentate le finestre mobili di uscita che passano da tre a sette mesi per i lavoratori privati ed addirittura da sei a nove mesi per i dipendenti pubblici. Inoltre, la misura dell’assegno non potrà superare di quattro volte il trattamento minimo (2.200 euro lorde, circa 1.700 euro nette mensili) fino al compimento dei 67 anni di età. Resta confermata sia la norma che non permette al lavoratore di poter svolger alcuna attività lavorativa eccetto quella di lavoro autonomo occasionale solo fino a 5.000 euro annui, sia quella della possibilità per chi ha maturato i requisiti per accedere al pensionamento di continuare a restare sul posto di lavoro incrementando del 9,19% il proprio stipendio ma, senza ottenere al momento del pensionamento un miglioramento dell’assegno previdenziale.
OPZIONE DONNA
Si sperava molto che su questo istituto le forti limitazioni entrate in vigore all’inizio dell’anno vale a dire essere caregiver da almeno 6 mesi e conviventi con un malato in stato di gravità, essere invalide almeno al 74% ed essere state licenziate o essere dipendenti da aziende per le quali sia attivo un tavolo di crisi al MISE e che hanno fatto precipitare del 90% il numero di donne che quest’anno hanno potuto accedervi fossero, come promesso in svariate occasioni da membri del governo, giustamente eliminate. Ciò non si è verificato ed addirittura è stata aumentata di un anno l’età per accedervi portandola da 60 a 61 anni oltre ai necessari 35 anni di contributi. Entrambi i requisiti a differenza della Quota 103 devono essere raggiunti entro il 31/12/2023. Rimangono gli sconti di un anno per chi ha un figlio e di due anni per chi ha due o più figli o sono donne licenziate o dipendenti da aziende in crisi. Anche in questo caso il calcolo è totalmente calcolato col sistema contributivo con perdita di oltre il 20% dell’assegno previdenziale per tutta la durata della vita.
APE SOCIALE
Anche su questo istituto sale il requisito anagrafico. Anziché agli attuali 63 anni si potrà accedervi a 63 anni e 5 mesi. Ricordiamo che l’Ape Sociale è riservata solo ad alcune categorie svantaggiate come disoccupati che abbiano esaurito i periodi di disoccupazione; le persone disabili almeno al 74%, caregiver che assistono da almeno 6 mesi disabili conviventi ed abbiano almeno 30 anni di contributi, oppure lavoratori che abbiano 63 anni e 5 mesi e svolgono mansioni gravose e siano in possesso di almeno 36 anni di contributi. L’assegno non può essere superiore a 1.500 euro lorde mensili (circa 1.150 euro nette) senza tredicesima e senza le perequazioni dovute all’inflazione fino al compimento del 67esimo anno di vita. Inoltre, a differenza del passato, non si possono conseguire redditi se non da lavoro autonomo occasionale fino ad un massimo di 5.000 euro lorde annue.
INDICIZZAZIONI DELLE PENSIONI
Per quanto riguarda, invece, provvedimenti che valgono per chi è già in pensione, si interverrà per recuperare gli effetti causati dall’inflazione dell’anno 2023 (al momento del 5,3%) con il recupero pieno solo per le pensioni fino a 4 volte il TM (trattamento minimo di 564 euro). Poi ci saranno degli aumenti decrescenti che saranno dell’’85% per pensioni da quattro a cinque volte il TM, del 53% per quelle da 5 a 6 volte il TM, del 47% per quelle da 6 a 8 volte il TM, del 37% per quelle da 8 a 10 volte il TM ed infine del 22% per i trattamenti superiori a 10 volte il TM, peggiorando la situazione dello scorso anno quando per questa fascia la perequazione era del 33%. Si è deciso, inoltre, di anticipare alla data del 31 dicembre 2024 il blocco dell’aumento dell’aspettativa di vita che era stato fissato al 31 dicembre 2026. Questo può determinare che, se nell’anno 2025 ci sarà un aumento dell’aspettativa di vita ci potrà essere un aumento di uno/due mesi sia sulla pensione di vecchiaia, ora fissata a 67 anni, che sulla pensione anticipata ora fissata a 42 anni e 10 mesi + 3 mesi di contributi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi + 3 mesi di contributi per le donne. Nella manovra economica sono contenuti, poi, altri interventi sulla previdenza particolarmente penalizzanti come il taglio sulle future pensioni di alcune categorie di dipendenti pubblici come medici ed infermieri, dipendenti di enti locali, insegnanti di scuola materna e di scuola primaria parificate e ufficiali giudiziari che vanno ad incidere sui coefficienti della parte retributiva di chi usufruisce del sistema misto e che possono determinare una taglio di diverse centinaia di euro sui futuri assegni previdenziali. Probabilmente, in sede di discussione parlamentare, anche per evitare contenziosi di cui non si può prevedere l’esito e le possibili dimissioni di migliaia di dipendenti entro l’anno 2023 con seri rischi di mettere in crisi il servizio pubblico, questa odiosa parte relativa alle pensioni di talune categorie di dipendenti pubblici sarà modificata, ma come hanno sempre detto la Meloni e Giorgetti ogni eventuale modifica dovrà essere a saldi invariati su ogni capitolo specifico. Non vorrei che per salvare il personale sanitario si attui qualche altro balzello sulla previdenza che inasprisca ancora quello che è ormai diventato uno dei sistemi previdenziali più rigidi d’Europa.
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