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Economia

Onore ai nostri avi! L’Europa riscopre “Su piricciòu”

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di Francesco Diana

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«Donzelle e giovani entro i panieri, recan su òmeri grappoli neri, ma solo i giovani calcan nel tino l’uva e ne spremono il dolce vino. Festici cantici alzano al Nume e lieti guardano sorger le spume. Ne beve il vecchio e in pigro moto saltando i canditi capelli scuote…».

Con la citazione dei primi versi dell’Inno a Bacco del grande poeta greco Anacreònte, esistito fra il 570 e il 485 a.c. e deceduto, secondo la tradizione, soffocato da un acino d’uva all’età di ottantacinque anni, intendiamo introdurre il nostro commento all’istanza avanzata da diversi Paesi del Nord Europa e fatta propria dalla Commissione Europea, che avrebbe quale finalità quella di produrre vini dealcolati. Ciò allo scopo di ovviare ai consistenti danni prodotti dall’eccessivo consumo di alcool o, forse, per la scalata a nuove fette di mercato, specie fra i popoli di provata fede islamica.

A supporto del giudizio che tale istanza suggerisce, potremmo citare ancora i Canti Carnascialeschi di Lorenzo de’ Medici, col trionfo di Bacco e Arianna, come pure i racconti proposti da Gabriele d’Annunzio sul suo viaggio in Sardegna in compagnia di Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella, con l’inno finale per il “Nepente” di Oliena: «Non conoscete il Nepente d’Oliena neppure per fama? Ahi, lasso! Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all’odore; e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi».

In difesa di quello che è stato uno dei componenti base della nostra tavola fin dagli albori della civiltà: “Il Vino”, ne intendiamo ripercorrere succintamente il percorso storico e la sua evoluzione naturale

Lo vogliamo fare perché profondamente disorientati dalle recenti iniziative intraprese da quanti, nel momento in cui la comunità mondiale appare profondamente impegnata a combattere un nemico subdolo che ne mette a repentaglio la sopravvivenza: “Il Covid”, ritengono più opportuno finalizzare il loro operato al lancio del “vino annacquato”, non tanto per conseguire il nobile scopo di limitare i danni da alcolismo, ma quasi certamente per la conquista di fasce di mercato in un mondo futuro, che la grave crisi pandemica lascia intravvedere ancora in chiaroscuro.

Cominciamo col ricordare che il vino è una bevanda alcolica prodotta della fermentazione alcolica di mosti ricavati da uve fresche o leggermente appassite, con, o senza, la presenza di vinacce. E costituito in prevalenza da acqua (80/85%), alcol etilico, glicerolo, acido tartarico, acido malico, acido lattico, acido acetico e zuccheri, in prevalenza fruttosio.

Durante il noto processo della “fermentazione alcolica”, caratterizzato dall’emissione di anidride carbonica (CO2), gli zuccheri contenuti nel mosto vengono in parte trasformati in alcol etilico ad opera dei microrganismi anaerobici conosciuti col nome di “Saccaromiceti”.

È noto a tutti che il grado alcolico del vino prodotto è strettamente legato a una miriade di fattori, fra i quali la composizione stessa del mosto in relazione al tenore zuccherino e all’acidità fissa, l’epoca di vendemmia, la temperatura ambientale, l’idoneità dei locali e delle attrezzature utilizzate ecc., fattori che la tecnica enologica cerca di ottimizzare ai fini del conseguimento di un prodotto finale che presenti le caratteristiche richieste dal mercato.

A tal proposito è interessante notare che l’acqua è già di per se il principale componente del vino (80/85%), mentre il grado alcolico, perché ne sia consentita la commercializzazione, deve rispondere ai requisiti fissati dalla norma in vigore. Ovviamente ciascun produttore, limitatamente alle quantità destinate al consumo aziendale, è di fatto svincolato dal rispetto di tali requisiti, specie nei riguardi del grado alcolico. Peraltro, è interessante ribadire che la valutazione delle uve vendute o conferite avveniva sempre in relazione al tenore zuccherino del mosto. Ciò nel presupposto che dal tenore in zuccheri del mosto, dipendeva in larga parte la gradazione alcolica del futuro vino, nella misura necessaria a soddisfare i gusti del consumatore.

Storicamente, l’introduzione del vino in Italia avvenne ad opera dei Greci e dei Fenici intorno al VII secolo a.c., iniziando proprio dalla Sardegna e dalla Sicilia, mentre furono poi i Romani a diffondere il prodotto in tutta Europa.

Nella speranza di aver sommariamente identificato il prodotto “Vino”, non ci resta che interpretare le intenzioni di quanti intendono modificarne l’essenza, attribuendo all’alcolismo le ragioni che imporrebbero di snaturalizzare quello che nei secoli è sempre stata la bevanda ideale per accompagnare i pasti giornalieri

Anche “Tziu Srabadòi”, ai suoi tempi, quando la produzione aziendale non consentiva di soddisfare le esigenze della famiglia o quando la stessa non risultava sufficiente a colmare l’unico recipiente a disposizione, al netto degli spazi che potevano essere compensati con l’anidride solforosa prodotta da “su luchittu”, era costretto ad aggiungere dell’acqua alla massa prima dell’inizio della fermentazione! Lo faceva, però, per cause di forza maggiore e col pianto nel cuore, ben sapendo che ciò avrebbe comportato il deterioramento del prodotto finale.

Lo faceva anche “Tziu Giuanni”, che per esigenze familiari era costretto a produrre il suo “piricciou”, facendo rifermentare le vinacce con l’aggiunta di acqua e ottenendo un prodotto che se ne guardava bene dal definire “Vino”; tanto è vero che non rischiava nemmeno a inserirlo nella solita “crocoriga”, fedele compagna delle sue giornate campestri.

Alla luce di quanto esposto, l’istanza avanzata da alcuni paesi del Nord Europa in vista della predisposizione delle strategie da inserire nel settore agroalimentare per il quinquennio 2023-2027, sembra appartenere a uno dei tanti effetti collaterali ancora ignoti del Covid 19.

È vero che l’eccessivo abuso di alcool, come qualunque altro abuso riguardante i generi alimentari presenti sui tavoli imbanditi delle nostre famiglie, è deleterio ai fini del mantenimento delle condizioni di salute accettabili, ma è altrettanto vero che l’uso adeguato degli stessi, compreso il vino, contribuisce a mantenere inalterata la condizione psico-fisica dell’individuo, così come dimostra l’alta percentuale degli anziani dimoranti nella nostra Sardegna.

La Commissione Europea non è nuova a iniziative del genere, specialmente nei riguardi del comparto viti-vinicolo! Prima ha incentivato lo sviluppo della viticoltura erogando contributi a gogò per favorire i nuovi impianti in assenza qualunque forma di programmazione che ne definisse l’ambito, successivamente ha elargito incentivi a pioggia per l’abbandono della viticoltura sdtessa.

Oggi propone lo sviluppo dei vini dealcolati, onde cogliere le opportunità che il mercato attuale offre in materia di vini a ridotto tenore alcolico, preservandone il nome! Ancora una volta, pur di emergere, si cerca di forzare le leggi della natura, come peraltro già successo per gli OGM, determinando reazioni da parte della natura stessa che nessuno è in grado di contrastare adeguatamente, come dimostrato in occasione delle pestilenze pregresse e confermate da quelle in atto.

L’abuso di alcool fa male? Certamente! Sensibilizziamo il consumatore a farne un corretto uso, senza proporgli in alternativa un prodotto frutto di una manipolazione che, sotto l’ombrellone della lotta all’alcolismo, si prefigge di cogliere le opportunità che un particolare mercato offrirebbe.

Se questo è il fine, lo si persegua pure ma, per cortesia, che nessuno osi chiamare “Vino” il prodotto così concepito e si chieda scusa a quanti, studiosi, tecnici e operatori agricoli in genere che, dai Fenici ai Greci, agli stessi Romani e fino ai giorni nostri, si sono adoperati per produrre un vino degno di questo nome, selezionando le cultivars più congeniali e adottando i sistemi più appropriati per esaltare le caratteristiche organolettiche dell’uva, capaci di originare questa bevanda che, assunta con circospezione, si spera possa sempre costituire un componente essenziale della nostra tavola a disposizione di quanti, scientemente e liberamente, vorranno usufruirne in quantità moderata: «e voi dove vi piace andate, acque turbamento del vino, andate pure dagli astemi; qui c’è il fuoco da Bacco» sosteneva saggiamente Gian Valerio Catullo (84 a.C.- 54 a.C.).

RIPRODUZIONE RISERVATA
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