di Dario Frau
____________________________________
“Combattenti del CSIR. Rivedo i vostri ranghi audaci e compatti varcare il confine …nelle sconfinate distese della fertile Ucraina che domani sarà il granaio dei vincitori”! Sembrerebbe a prima vista, un proclama di qualche ufficiale russo nell’attuale guerra d’invasione in Ucraina, ma non è così; le poche righe fanno parte dell’Ordine del giorno che il generale Giovanni Messe, il 9 maggio del 1942, rivolse ai combattenti italiani nel corso dell’invasione contro la Russia nella seconda Guerra Mondiale. C’era anche Anselmo Pianu di Pabillonis, tra i 201.862 mila soldati del Csir, il Corpo di spedizione italiano in Russia, che dal 22 luglio 1941 al 14 marzo 1943 partecipò, a fianco dei tedeschi, all’“Operazione Barbarossa”, sul fronte orientale contro l?Unione Sovietica.
SERVIZIO MILITARE
Il giovane pabillonese avrebbe sicuramente fatto a meno di partecipare a questo “imponente schieramento bellico”, ma la “Patria chiamava”, come suol dirsi in questi casi. E all’età di 22 anni, nel 1939, fu costretto a partire per fare il servizio militare. E così Anselmo, lasciati i terreni che coltivava con passione, gli amici, i genitori, i fratelli e le sorelle (Giuseppe, Petronilla, Clelia, Crescenzio, Maria e Felicina), partì per l’avventura che l’avrebbe impegnato ben quattro anni, di cui tre, trascorsi in operazioni di guerra. I primi tempi li trascorse in pesanti corsi di addestramento, soprattutto a Roma, “per temprare i giovani combattenti”.
BATTESIMO DI FUOCO
Dopo aver superato brillantemente il corso, fu inquadrato nella 57^ Compagnia Genio Artieri e spedito subito, a giugno del 1940, alle operazioni di guerra nella frontiera Alpino-occidentale contro la Francia. Anselmo con la sua Compagnia rimase sul fronte fino al 25 giugno, quando i combattimenti cessarono. Circa un anno dopo, dal 6 di aprile 1941, l’artiere Pianu è chiamato a combattere su un altro fronte, quello orientale, dove l’Italia aveva aperto le ostilità con la Jugoslavia. L’operazione di guerra continua fino al cinque giugno, quando ormai tutta la Balcania è occupata. Il riposo per l’artiere fu però di breve durata. Il 22 giugno del 1941, infatti, i soldati tedeschi invadono la Russia e Mussolini “spinge” per andare a fianco del suo alleato, Hitler, in quella che fu denominata “Operazione Barbarossa”. I generali tedeschi sono contrari, ma alla fine il Furher cede. Il 10 luglio 1941, il duce invia in Unione Sovietica 201.862 soldati del Csir, (il Corpo di spedizione italiano in Russia), al comando del generale Giovanni Messe.
COMPAGNIA DI RUSSIA
In questa operazione è inserita la 57^ Compagnia Genio Artieri, con soldati scelti, di cui fa parte anche Anselmo Pianu: il 22 luglio del 1941, inizia “l’avventura russa”, del giovane pabillonese. Il Csir inizialmente inquadrato nell’11ª Armata tedesca, venne subito impiegato nelle ampie manovre di inseguimento dei reparti sovietici in ritirata, per poi assestarsi nella zona di Stalino, con l’avvicinarsi dell’inverno. In previsione delle nuove offensive del 1942, il CSIR, su richiesta tedesca, venne raggiunto dalla Ottava Armata (Armir.), Il numero dei nostri connazionali salì, pertanto, a 229mila. L’Armir viene subito chiamato a fronteggiare i russi nella 1ᵃ battaglia difensiva del Fiume Don. Gli italiani erano, però, privi di mezzi adeguati per fronteggiare i russi ed evidenziarono di non essere all’altezza della situazione, come quantità di armamenti e mezzi trasporto. Il generale Messe, faceva continui rapporti a Roma, sulla condizione disastrosa delle truppe che, seppur dimostrando valore e coraggio, non avevano più viveri, mancavano di scarpe adeguate ed erano logorati completamente nel fisico.
LA RITIRATA
Nel novembre e dicembre del 1942, i russi sferrarono una grande offensiva che investì le divisioni italiane di fanteria schierati sul medio Don: il 17 gennaio del 1943 i comandi italiani ordinano di ripiegare. Inizia la lunga e drammatica ritirata dei soldati italiani, come racconta, tra tante testimonianze, anche Giulio Bedeschi nel suo autobiografico “Centomila gavette di ghiaccio”: “la ritirata, in poco tempo si trasformò in tragedia epica, senza scarpe, con piedi e mani congelati, con temperature che sfioravano i 50 gradi sotto zero, costretti a camminare tra la neve, senza nulla da mangiare per giorni e giorni”. Avvenimenti tragici che vennero vissuti in prima persona e in seguito ricordati anche da Anselmo Pianu, sopravvissuto all’ecatombe dell’esercito italiano: dei 229.000 soldati italiani inviati in Russia, infatti, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Anselmo, tra tante traversie, riesce a tornare a casa e ad abbracciare i suoi familiari che avevano, ormai, perso le speranze di rivederlo in vita.
Di questa ritirata drammatica, la nipote Marcella, figlia della sorella Petronilla, riporta episodi, qualcuno particolarmente toccante: «Zio Anselmo raccontava come iniziò la sua ritirata e la sua salvezza: siccome conosceva un po’ il tedesco, per il fatto che aveva familiarizzato con i militari alleati, una sera, sul tardi, nel bivacco dove si erano accampati, aveva sentito i tedeschi che parlavano tra di loro e che praticamente avevano ricevuto l’ordine di requisire qualsiasi mezzo di trasporto, bicicletta, cavalli e tutto quello che potesse aiutarli a scappare. Zio Anselmo aveva capito che la questione era gravissima e aveva immediatamente riferito tutto questo ai suoi commilitoni e che bisognava andar via al più presto, perché i tedeschi si stavano preparando alla ritirata e gli italiani sarebbero rimasti incastrati dall’attacco dei russi. Pertanto gli italiani presero la via del ritorno, senza alcun mezzo, tra neve alta, al freddo e con un fisico stremato dalla fame e dalla fatica». In questa drammatica ritirata, nei racconti di Anselmo, c’è spazio anche a grandi esempi di altruismo e generosità, come riferisce ancora la nipote. «Mio zio raccontò che durante la tremenda marcia, siccome c’era un ufficiale che era stato ferito e non poteva camminare, lui se l’era preso sotto braccio e spesso anche sulle spalle e quando riuscivano a trovare qualche patata, o solo anche le bucce, la parte più grande, l’offriva al compagno ferito». La campagna di Russia fu un periodo sconvolgente per Anselmo Pianu e anche dopo anni, gli tornavano alla mente, tanti particolari dolorosi che raccontava in famiglia. «Fame, freddo e paura, erano le narrazioni di mio padre», afferma la figlia Rosalba. Nuccia, l’altra figlia, riferisce che «nella ritirata, frugavano le tasche dei compagni morti per trovare eventuali gallette per sfamarsi e prendevano gli indumenti per ripararsi dal freddo, e con il terrore di essere raggiunti dal nemico». Anselmo, in terra di Russia, ebbe modo di mettere in mostra anche le sue caratteristiche relazionali e umane: «Aveva fatto amicizia con una famiglia russa tanto che gli diedero a battesimo un loro figlio”, rimarca Nuccia.
IL RITORNO IN PATRIA
L’artiere Pianu, però, nonostante le peripezie affrontate, si salvò e tornò nel paese natio. Fu però un’esperienza sconvolgente, era magrissimo e malmesso, «tanto che nel viaggio di ritorno, in nave incontrò, nel mese di giugno del 1943, una giovane che lavorava in Continente, apprese che era di Pabillonis, ma non la riconobbe, poiché lei era partita da ragazzetta e era cresciuta; neppure la giovane, però, riconobbe quel soldato magro e malridotto; solo dopo una lunga conversazione scoprirono di essere fratello e sorella (Maria) e si abbracciarono piangendo!». Anselmo Pianu tornò in paese e alcuni giorni dopo, si recò a Guspini, in bicicletta, a trovare la sorella maggiore Petronilla che si era trasferita, come sfollata, per i bombardamenti di Cagliari e aveva aperto un ristorante.
IL MATRIMONIO
Nel 1946, Anselmo si sposò con Isaura Espis, da cui ebbe sei figli: Alberto, Nuccia, Efisio, Rosalba, Carlo e Temistocle. Nei primi anni ‘50, la moglie Isaura avviò sa Buttega coloniali, in via Colombo. Anselmo collaborava sia per l’approvvigionamento della merce recandosi a Cagliari sia con la fornitura dei prodotti che coltivava. Ma non solo, con la sua Seicento Multipla, esercitava anche l’attività di “tassista”: accompagnava tanti compaesani per il disbrigo pratiche e per le visite mediche, nei paesi del circondario e a Cagliari e qualche volta portava nelle trasferte, anche i calciatori della squadra. Il ricordo della drammatica esperienza, vissuta nella guerra di Russia, era sempre presente nella sua mente; rievocazioni che raccontava ai figli e dopo anche ai nipoti, forse per esorcizzare quei tristi momenti, poiché diceva sempre: “non mi dd’ appu a scaresci mai”.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento