STORIA DI CASA NOSTRA

Pabillonis, i settant’anni del Cinema Teatro Verdi: la storia e i racconti dei protagonisti

Il gestore Antonangelo Cau
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di Dario Frau
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Nel 1951, poco più di settanta anni fa, veniva inaugurato, a Pabillonis, il Cinema Teatro Verdi.
Un evento importante e particolare per quel periodo, poiché offriva alla comunità un diversivo e momenti di svago per i cittadini.
Il periodo dopo la seconda Guerra Mondiale e i primi anni 50, la vita in paese, infatti, come in tutta l’isola, non era facile, anzi le condizioni di vita erano precarie e drammatiche: povertà e indigenza caratterizzavano la quotidianità.
Eppure gli abitanti facevano di tutto per andare avanti, la voglia di ricominciare animava il paese, l’agricoltura non più imbrigliata dall’economia di guerra, rialzava la testa, i giovani erano animati dalla voglia “di fare” (molti purtroppo, dovettero anche emigrare in Continente o all’estero per trovare lavoro), alcuni settori, come le sartorie aumentavano di numero, la produzione delle stoviglie in terracotta cresceva: oltre al lavoro dei tornianti e degli operai dei laboratori, le donne, a decine, e i carrettieri, carichi di pingiadas e tianus, commerciavano i prodotti in tutta l’isola.
Anche le strutture scolastiche, provvisorie, e ubicate in case di privati con precarie condizioni igieniche e logistiche, ebbero finalmente una loro idonea collocazione: nel 1953 viene finalmente inaugurato il nuovo caseggiato scolastico, su due piani. Il sindaco di allora (dal 1952 al 1956) era Genesio Espis un uomo d’affari che aveva particolari programmi per migliorare il paese. Durante il suo mandato fu approvato, infatti, anche il progetto della scuola elementare, realizzata in poco tempo, i cui lavori furono diretti dal fratello Ezechiele, un eccezionale ed esperto capomastro che in paese seguì, oltre i lavori della scuola, la ristrutturazione della piazza di San Giovanni Battista, diverse case private, con l’abbellimento anche di ricche decorazioni e appunto il Cinema Teatro Verdi.

Il cinema Verdi in costruzione

Eppure, in paese, prima del cinema Verdi, le proiezioni cinematografiche non mancavano. Un privato, Faustino Zurru, finanziere in pensione, con i suoi figli, organizzava, alla fine degli anni ‘40, “il cinema all’aperto”, durante il periodo estivo, nel cortile di casa sua, in via Sassari. «Come schermo veniva piazzato un grande telo bianco e come sedili, tavoloni in legno», ricorda Pietro Zurru che insieme ai fratelli e sorelle era un assiduo spettatore. Il proiettore cinematografico 35 mm con lanterna Pio Pion a carboni, uno delle marche migliori allora in circolazione, piazzato in una finestra del primo piano, era manovrato da Ines, la figlia di Faustino Zurru. I film, sonori e a colori, attiravano molti spettatori. «Oltre a questo, però, esistevano anche altri posti dove si proiettava: nel cortile della casa di Arturo Matta, di Giuseppino Lai e di Riccardo Floris, venivano proiettati, da organizzatori ambulanti, con un proiettore montato all’interno di un furgone, film muti e   comici come Macario, Charlie Chaplin», ricorda Antonino Mura.

Cinema Verdi in costruzione

Ma la costruzione del Cinema Teatro Verdi soppiantò queste proiezioni. La realizzazione del fabbricato comportò un impegno particolare, soprattutto per le dimensioni, circa 500 mq di superficie, in cui erano compresi anche lo spazio per la biglietteria e il bar, e per la tipologia e materiale utilizzato. «Per rientrare nella volumetria del fabbricato, utilizzarono anche una striscia di terreno confinante con la proprietà di mio padre», racconta il figlio Pinuccio Pisanu.
Un altro particolare viene riferito da Antonino Mura: «Nel tratto prospiciente all’attuale via Sassari esisteva una piccola casa abitata da una famiglia e fu realizzato anche un laboratorio e un forno (a fine anni ‘40), per la produzione di pingiadas e tianus, da Mario Schirru, poichè in quel tempo c’era una forte richiesta a livello isolano di questi prodotti in terracotta». Queste strutture vennero abbattute quando Genesio Espis programmò la costruzione del cinema. Come materiale di costruzione fu utilizzato su lardiri (mattoni crudi), una tipologia edilizia che poteva contare sia sulla particolarità del materiale (argilla) sia sull’esperienza degli artigiani, che in paese erano numerosi e competenti.
«Io e mio padre Juannicu Floris abbiamo lavorato per molto tempo, negli ultimi anni quaranta, “a fai su lardiri” per il cinema, nella zona di Su Rieddu; si lavorava ogni giorno quando il tempo lo permetteva, un carrettiere li portava al cantiere dove c’era il capomastro Ezechiele Espis», ricorda Giuseppe Floris, allora un ragazzo di 14/15 anni.

Cinema Verdi oggi

Un edificio, quindi, enorme e impegnativo nella costruzione, caratterizzato anche da una ardita “galleria-gradinata”, in cemento armato, sospesa sulla platea sottostante, senza colonne per sorreggerla. Una realizzazione sorprendente, che venne anche sottolineata, con particolari apprezzamenti, nei confronti del capomastro Ezechiele Espis, dall’ingegnere che aveva redatto il progetto.

Ezechiele Espis

Un altro particolare previsto nel progetto, ma che non venne messo in opera, fu il sistema di areazione: con un sistema di carrucole, un tratto del soffitto si apriva, scorrendo su binari, e avrebbe dovuto permettere l’areazione del locale. L’impianto elettrico della struttura fu realizzato da Flavio Collu, che in seguito diventò anche direttore dell’Ufficio di Collocamento al Lavoro del paese. E così terminata la struttura si pensò all’arredamento. Un centinaio di poltroncine e sedili mobili in legno vennero sistemate nella platea, che venivano spostate quando si organizzavano altri divertimenti, come feste private e balli. Nell’ingresso e nelle uscite di emergenza laterali furono sistemate pesanti tende di velluto color porpora, cucite dal sarto Gervasio Collu, insieme alle sorelle Annetta ed Elisa con il contributo anche di Antonina Serpi. La struttura venne inaugurata nel 1951, e fu un successo. «Per l’occasione furono organizzati balli e un grande rinfresco, i dolci per l’inaugurazione li aveva confezionati Marietta Erdas (madre di Genesio Espis) e tzia Bonaria Secchi, commerciante, sposata Mugnai, che erano anche vicine di casa: avevano preparato gallettine, bianchini e anicini», racconta Zemira, figlia di Genesio.

Il cinema era sempre strapieno, arrivava gente anche dai paesi vicini. «Nella platea del cinema i ranghi sociali venivano rispettati: la domenica pomeriggio a vedere i film, in posti riservati, sedevano, il maresciallo dei carabinieri Salerno, con la moglie e le tre figlie, dottor Mario Paolo Usai, medico del paese (padre di dott. Francesco Usai), assieme alla moglie e le figlie che arrivavano tutti rigorosamente a braccetto», ricorda ancora Zemira Espis. Nei primi tempi, la gestione veniva svolta dalla famiglia Espis: la figlia Zemira, allora adolescente, dava una mano nella biglietteria. Un biglietto costava meno di 100 lire. Agli inizi degli anni cinquanta, i fratelli Zenobio e Zenone Espis si occuparono dei film, e con loro, come operatore c’era, Giuseppe (Pinuccio) Erdas, che dal ’51 al ‘59 si alternò con Giuseppe Porcu, Mario Lai e Salvatore Lai). Le bobine venivano prese a noleggio a Cagliari dai distributori delle case Ccnematografiche.  Nella gradinata (la galleria), che era di cemento, sedevano le persone meno abbienti, e i ragazzi, che pagavano di meno, alcuni si portavano un cuscino per stare comodi.

Alla fine dello spettacolo cinematografico, Zemira Espis aveva anche il compito di andare a ispezionare le gradinate per essere certa che tutti i clienti fossero andati via. «Vicino alla biglietteria c’era un baretto e Genesio Espis assieme a Sisinnio Serpi vendevano bibite, noccioline, pistacchi, mustaccioli», ricorda ancora Zemira. Ma il bar vero e proprio si trovava all’entrata prospiciente la via Sassari. Durante la gestione Espis collabora anche Silvio Porcu che gestiva il bar, con i figli. «Io mi occupavo delle pulizie della sala e lo facevo volentieri poiché, nel pavimento, tra le poltroncine trovavo sempre delle monetine perse dai clienti, e non essendoci ancora l’acquedotto comunale, l’acqua veniva attinta da un pozzo, all’interno della sala, nella parete divisoria con il vicino Giuannico Pisanu», spiega la figlia Anna, allora ragazzina.

La gestione del padre Silvio, inoltre, era caratterizzata anche dallo squisito gelato che confezionava direttamente lui stesso, nel locale, con prodotti a km zero. «Il latte freschissimo, portato dal pastore, veniva miscelato da mio padre, con altri ingredienti, a secondo del gusto, poi, dopo la lavorazione a mano, si otteneva un ottimo gelato, molto richiesto dagli spettatori», racconta Anna. Il cinema era sempre strapieno, arrivava gente dai paesi vicini. «Poi quando non proiettavano film, soprattutto nei periodo di feste, venivano organizzati balli a cui partecipavano molti giovani del paese. Mi ricordo, negli anni cinquanta e sessanta, alcuni tra i più assidui: Giacomino Cherchi, Delio Cherchi, Nino Cuccu, Gianni Pinna, ma erano molti gli appassionati, tra uomini e ragazze, che frequentavano queste feste di ballo», ricorda ancora la figlia del proprietario Genesio. Ricordi di un passato, riportati alla memoria dai fratelli Erdas (Pinuccio, Salvatore, Mario e Luigi), una generazione che insieme ad altri operatori, temporanei, hanno segnato il percorso, delle proiezioni dei film, dall’inizio, alla chiusura, del cinema.

Proiettore Pio Pion

Il primo proiettore cinematografico era un 35 mm con lanterna Pio Pion a carboni. «La proiezione era un po’ pericolosa, poiché la pellicola, era facilmente infiammabile e anche se esisteva un sistema per bloccare un eventuale incendio, bisognava prestare molta attenzione», spiega l’operatore Luigi Erdas. In seguito (1958/59), si occupò della gestione, del cinema Antonangelo Cau, un sarto di Marrubiu, che da alcuni anni aveva una sartoria in paese, in via Roma, e si occupava della biglietteria e di scegliere i film, insieme a Guido Gobbo (un fattore dell’azienda di Guglielmo Saba, in Surbiu). «Le proiezioni si tenevano il giovedì, sabato e domenica. C’era sempre molta gente quando si proiettavano film sentimentali o religiosi, le donne uscivano con le lacrime agli occhi», ricorda Salvatore Erdas che per vari anni è stato operatore e aveva scelto anche il nuovo proiettore acquistato in via XX Settembre a Cagliari.
Il bar, invece, era stato affidato ad Angelo Zurru, che lavorava anche nella sartoria Cau, e la sorella Adriana. «È stata un’esperienza molto positiva, sia a livello personale sia economico: compravamo mille paste dalla pasticceria Marongiu di San Gavino e in tre giorni le vendevamo tutte. Lasciai, poiché nel ‘59 mi ero fidanzata», ricorda la signora Adriana.

L’operatore Salvatore Erdas

Dopo la famiglia Cau, la gestione passò ai fratelli Peppino, Costantino ed Ersilia Sardu, fino al 1963. I fratelli Sardu erano molto attivi. «Nel 1961, ero incinta della primogenita, ma accompagnavo mio marito Costantino, a Mogoro, in motocicletta, per acquistare il vino rosso per il bar, molto apprezzato dai clienti», ricorda la moglie Rina. Gli operatori erano Salvatore Erdas, Salvatore Lai, Giovanni Contu e Mario Erdas, «che seppur ragazzo di 14/15 anni, m’intrufolavo nella cabina di proiezione per apprendere e qualche volta proiettavo anche», racconta Mario, che negli anni seguenti diventerà un esperto del mestiere.
Dal 1963 al 1965, fu Costantino Zurru, commerciante, a prendere la conduzione del Cinema Teatro Verdi, insieme alla collaborazione dei figli, Pietro, Benito, Battista, Mariangela, Celestina, Graziella, Paolo e Caterina. I componenti la famiglia Zurru rinnovarono e modernizzarono lo spazio-bar, installando un jukebox con la musica che andava di moda, coinvolgendo gli appassionati del rock e dei cantanti più famosi: con una moneta da 50 lire nella gettoniera si poteva ascoltare una canzone a “tutto volume”. In seguito, per alcuni anni, il cinema rimase chiuso, per ristrutturazione, fino al 1969. Nel periodo 1970-73, il locale riprese l’attività con la famiglia di Anselmo Pianu dove tutti erano impegnati: il capofamiglia con la moglie Isaura, che si alternavano alla biglietteria, i figli alla gestione del bar, addetti alla sala (maschere) e controllo del locale. Gli operatori erano Luigi e Mario Erdas.
Nel 1974, subentrò alla gestione Livio Serra, con la collaborazione del fratello Roberto e il cognato Pietro Espis. In questo periodo, come operatore fu chiamato Luigi Erdas che si occupò del nuovo proiettore della Cinemeccanica con il fratello Mario. L’ultimo anno si cimentarono “in cabina di regia” anche i fratelli Roberto e Livio Serra, titolari del locale. Ma nel 1979, il Cinema Teatro Verdi chiuse definitivamente le proiezioni; rimase solo il bar, gestito da Pietro Espis e da Roberto Serra, che diventò un punto di riferimento per tanti giovani fino alla fine degli anni ottanta, quando la struttura abbassò le serrande per sempre.

L’operatore Salvatore Lai

Agli inizi degli anni 90, un gruppo di giovani, tentò di aprire un Circolo Culturale, per dare vita a nuove attività, tra cui anche la proiezioni di film, ma i tempi erano superati: le discoteche e le multisale decretarono la scomparsa dei piccoli cinema paesani e tra questi anche il Cinema Teatro Verdi. Da allora, l’edificio, chiuso da alcuni anni, presenta i segni del tempo e lo stato di abbandono. I proprietari, la famiglia eredi Matta-Espis ha messo in vendita la struttura, per dare una nuova destinazione dell’importante fabbricato, ma attualmente, nessuno ancora, si è fatto avanti. Tutto ora è finito, ma il Cinema Teatro Verdi, per tanti lustri, è stato un punto di riferimento per ragazzi, giovani e adulti, sia maschi sia femmine, di Pabillonis.
Tanti i ricordi e gli aneddoti di quel periodo. Molti, ancora ricordano i film di quei tempi, da quelli drammatici-sentimentali, come Via con vento, a quelli del neorealismo, di Alberto Sordi, Totò, la serie di Dracula e dei Vampiri, ai vari Maciste, Ercole, Ursus, le varie commedie sexy degli anni ‘60 e gli ultimi, i film western, di arti marziali, karatè e kung fu. Particolari situazioni si creavano in occasione dei film vietati ai minori, quando i ragazzi che non avevano l’età per entrare, cercavano di spacciarsi più grandi: un trucco inutile, poiché in un paese piccolo, quasi tutti si conoscevano e al bigliettaio era inutile raccontare bugie. Il biglietto d’ingresso non era eccessivo, anche i ragazzi più piccoli potevano vedersi un film, soprattutto la domenica pomeriggio. «Mi ricordo che negli anni 60, per i ragazzi, il biglietto, in galleria, costava 40 lire, mia madre me ne dava 50: con dieci lire compravo due stringhe di liquirizia, il resto lo utilizzavo per pagare il biglietto e trascorrere un pomeriggio, con la visione di un bel film», racconta uno spettatore di allora, oggi, ultrasessantacinquenne.
Le maschere erano sempre presenti: accompagnavano gli spettatori, con la torcia, a trovare un posto in platea, quando il film era già iniziato. Ma anche, in qualche occasione, redarguivano gli spettatori (perlopiù ragazzi) delle gradinate, in cemento, poiché qualche bontempone “lanciava in platea, gusci di “pistacciu”, tra gli spettatori seduti in platea», racconta un ex spettatore. Qualche volta bisognava utilizzare anche metodi più efficaci nei confronti di queste persone: «Tziu Silvio Porcu, gestore del bar si presentava anche con una canna in mano e, anche se non veniva utilizzata, riusciva a calmare i più esagitati», racconta Angelo Zurru che in seguito, con la gestione di Antonangelo Cau, nel 1958/59 gestì, a sua volta, il bar. Ma il Cinema Teatro Verdi non veniva utilizzato solo per i film, molte volte, si tenevano anche rappresentazioni teatrali, come, d’altronde, il nome indicava. Opere comiche, ma anche drammatiche venivano rappresentate nel palco, idoneo, per importanti spettacoli tenute da compagnie anche di un certo livello. Il palco veniva utilizzato inoltre, anche per intrattenimenti di cabaret, di prestigiatori, maghi, illusionisti ed esibizioni di attori comici, in particolar modo, nei primi tempi dell’attività.

Si ringrazia per la collaborazione, Maria Paola Cossu.
Testimonianze: Zemira Espis, Anna Maria Matta, Anna Porcu, Giuseppe, Salvatore, Mario e Luigi Erdas, Angelo e Adriana Zurru, Italia Cau, Rina Falchi, Pietro, Mariangela, Celestina e Paolo Zurru. Antonino Mura, Giuseppe Floris. Rosalba Pianu, Roberto Serra, Delio Cherchi, Mariuccia Espis (foto).
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