di Dario Frau
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Pabillonis ha un nuovo “nonnino”. Dopo alcuni anni che il paese non festeggiava dei centenari, giovedì 27 gennaio è arrivata la buona notizia: Guglielmo Cirronis, classe 1922, ha raggiunto il secolo di vita. Gli ultimi compaesani che festeggiarono i cento anni, in questo secolo, furono Francesco Pia deceduto nel 2007, Pulcheria Cherci deceduta nel 2009, Marietta Erdas nel 2011 e Giuseppina Atzeni nel 2014.
Guglielmo Cirronis, il nuovo centenario, ha festeggiato il suo invidiabile traguardo con la famiglia e i parenti. Anche il sindaco Riccardo Sanna ha voluto complimentarsi partecipando alla semplice (a causa del covid si è preferito limitare la partecipazione a pochi intimi) ma commovente, cerimonia e fare gli auguri a nome anche del consiglio comunale e della cittadinanza. Tra tanti complimenti, auguri, sorrisi ed emozioni, il più tranquillo era il festeggiato. Seduto nel suo angolo preferito, vicino al caminetto acceso, contento e compiaciuto di tanta attenzione, è stato lui a “tener salotto”, interagendo e interloquendo con sagacia e freschezza a tutte le domande dei presenti, ricordando il suo passato. Con timbro di voce, chiara e precisa, ha letto con curiosità e attenzione la pergamena che gli ha consegnato il sindaco.
“Un giovanotto”, in effetti, per la sua età (le foto della festa lo evidenziano) e un signore, che in modo pacato e sereno, con memoria lucida ed eccezionale, ha voluto raccontare la sua vita, ricca di tanti eventi, e peripezie. «Sono nato il 27 gennaio del 1922, i miei genitori erano Antonio Cirronis e Caterina Pinna, forse severi, ma giusti, come tutti i genitori a quel tempo», esordisce, il centenario. Tra i tanti episodi dell’infanzia, ricorda un particolare della vita scolastica. «Completai la quarta elementare, ma in quinta i metodi utilizzati dalla maestra mi costrinsero ad abbandonare la scuola, (con forte rancore) poiché in due occasioni ero stato picchiato dall’insegnate (una maestra del sassarese) e in quell’occasione ritenni di aver subìto grandi ingiustizie», precisa con tono convinto. A casa non fu certamente giustificato, anzi!, «Mio padre diede ragione alla maestra e minacciò anche di picchiarmi se avessi ancora protestato». La famiglia aveva dei terreni e del bestiame e qui Guglielmo s’integrò da ragazzo aiutando il padre, «era forse, severo, anche se giusto, ma io avevo un carattere forte e spesso non accettavo le sue decisioni: tanto che ero tentato di andarmene, ma decisi di rimanere», ricorda Guglielmo. Con lui lavorò fino al 1954, quando il padre cadde dal carretto e si fratturò il femore e cominciò quindi a lavorare, allevando mucche, pecore, coltivando grano e colture che servivano per mantenere il bestiame.
La prima fase della sua attività lavorativa fu interrotta dalla chiamata alle armi.
Un periodo che segnò, in diversi modi, la sua vita di giovane, coinvolgendolo nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
Tanti gli avvenimenti e i ricordi di quelli anni. Quasi un romanzo di avventura, se non fosse un periodo di vita reale e vissuta, ancora scolpita in modo indelebile, nella sua memoria. «Partii militare nel 1942, all’età di 20 anni, e andai alla stazione a piedi, per prendere il treno, allora i pullman non c’erano (soggiunge sorridendo), insieme a Dionisio Casula, mio compaesano. Rimasi una notte a Cagliari, poi partiì a Macomer, dove fui reclutato nella 13^ artiglieria e a maggio fui trasferito a Berchidda, al Settimo Reggimento Artiglieria Livorno, poi, in seguito a Tempio, a Nuoro e infine in Corsica, tra la fine del 1942 e il 1943», racconta l’ex soldato Guglielmo. Gli avvenimenti della Guerra lo coinvolsero, come tanti militari protagonisti,di quel periodo, in fatti ed episodi, che ormai sono diventati storia. Dopo l’armistizio del 1943,che pose fine alla guerra, rientrò in Sardegna (Berchidda) e in quel momento di caos, fu mandato in licenza e potè finalmente tornare a casa. Ma per il soldato Guglielmo, le traversie non erano finite. Nel 1945, infatti, fu richiamato, prima a Macomer, poi a Cagliari dove prese la nave per Napoli. “Qui appresi dell’uccisione di Mussolini insieme alla sua amante:ricordo bene l’avvenimento, perché la gente festeggiava in strada per la morte di Mussolini che aveva rovinato l’Italia con l’alleato Hitler”, ricorda, Guglielmo. Ma con la fine della Guerra non finirono i travagli . «In quel periodo stavo molto male, e fui mandato in osservazione all’ospedale dei Miracoli. Subito dopo fui trasferito a Livorno, e lì fui ricoverato e operato di peritonite. Pesavo circa 30 kg. Ricordo che un medico mi trasportò portandomi sulle spalle, poi fui medicato dalle crocerossine. Dopo 40 giorni di osservazione e convalescenza a Livorno, a metà maggio, feci rientro in Sardegna», racconta con un filo di emozione.
Al Distretto di Cagliari, un maresciallo lo assegnò alla caserma di San Bartolomeo alla 59^ Fanteria, e qui incontrò dott. Cadeddu (classe 1924 un medico dopo la guerra molto conosciuto a Pabillonisa) ed Enea Meloni (del 1923). Alla fine fu mandato, poi, alla Compagnia Barracellare e una volta saputo del congedo della classe 1922, tornò definitivamente a casa.
Rientrato nell’azienda di famiglia, continuò il lavoro in agricoltura. Un ricordo magnifico e gioioso ha del matrimonio. Sposò Adele Fanari (nota Elena) il 14 settembre 1958, ma dopo bellissimi anni di felice convivenza, lei morì nel marzo 1997. I due ebbero tre figlie, Antonella, Isella e Anna Pina. «Non arrivò nessun maschio per aiutarmi in campagna, ma questo non fu per me un dispiacere, sono arrivati invece quattro nipoti, tutti maschi. Le figlie mi sono state sempre vicino e mi hanno dato anche grandi soddisfazioni, come padre: hanno studiato, sono insegnanti e nel loro ambiente di lavoro sono rispettate e apprezzate», sottolinea Guglielmo.
Il centenario ha trascorso una vita semplice e riservata: «Non ho mai preso la patente e mi sono sempre mosso in bicicletta, motorino o col cavallo. Nelle giornate in cui non si lavorava in campagna e nei giorni festivi frequentavo gli amici».
È stato sempre attento nel mangiare: «Ho sempre curato l’alimentazione perché essendo stato molto male non volevo correre più rischi, perciò ho osservato rigidamente gli orari dei pasti: a mezzogiorno e alle 19». Alla classica domanda sul segreto della longevità. «Avere sempre qualcosa di cui occuparsi per il futuro. Un esempio? Ho appena piantato la vigna e spero di poterne vedere i frutti. Qualche giorno fa, ho raccolto in cortile gli ortaggi!», tiene a sottolineare.
Ma non solo, la forte vitalità è stata caratterizzata anche durante questo periodo della pandemia e per contrastare il Covid. «Mi sono voluto subito vaccinare, facendo le due dosi, e spero di poter fare la terza. Non ho paura del vaccino, perché durante il militare ho fatto un vaccino che mi aveva fatto molto bene. Quindi, a chi ha paura, dico: fidatevi», è il saggio consiglio del longevo ex artigliere.
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