di Roberto Loddi
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Bonorva, Bonòrva o Bonòlva, dal latino, Bonus Orbis, “buona terra” oppure dalla radice latina, urbs, urbis, di conseguenza “città buona”. È un paese che conta meno di 3500 abitanti (ma lo stesso territorio fu densamente popolato in epoca nuragica), posizionato nella regione storica del Logudoro e nella sub-regione del Meilogu, che si trova in provincia di Sassari, nel luogo in cui c’è l’altopiano di Campeda e ai suoi piedi la florida pianura di Santa Lucia.
In Sardegna nel 238 a.C. inizia la dominazione romana e Bonorva, diventa una provincia di età repubblicana e imperiale, nello stesso periodo nel quale il console Lucio Cornelio Scipione sconfigge a Olbia l’esercito dei cartaginesi comandato dal condottiero Annone, figlio di Bomilcare che muore in battaglia. Durante il medioevo Bonorva vive sotto il comando del giudicato di Torres, accolto nella suddivisione amministrativa dei giudicati di Costavalle, l’allora capoluogo di Rebeccu (importante centro del Meilogu decaduto in seguito alla crescita di Bonorva), ora unica frazione del comune di Bonorva, dove il nucleo abitato secondo una leggenda non doveva superare le 30 case e attualmente è una borgata del paese. Nell’area circostante di Bonorva, nasce poi un’altra dimora signorile, Turchiddu, e successivamente i Malaspina la conquistano e ci vivono sino al termine dei giudicati. L’archeologo, linguista ed etnologo Giovanni Spano, soprannominò Bonorva, la Siena sarda, per la purezza dell’idioma sardo-logudorese che viene pronunciato nel paese.
Bonorva è un centro contadino e agro pastorale, dove la vita in campagna è sicuramente dura e faticosa, ma la terra è anche severa e incantevole, oltre a regalare eccellenti prodotti che vanno dai cereali agli ortaggi di qualità e vantare vigneti che producono vini di pregio. La pastorizia e l’allevamento delle pecore, ma anche di capre, di maiali e di cavalli, hanno ruoli importanti, questi ultimi in passato erano i mezzi di trasporto più utilizzati, sia per spostarsi da un paese all’altro, sia come mezzo di trasporto insieme a muli e asini. Con il latte si produceva ieri come oggi un ottimo formaggio con diversi gradi stagionature e pezzatura, mentre con la macellazione del maiale i norcini con la collaborazione delle cuoche casalinghe continuano a produrre appetibili salumi e con il grasso “l’olio dei poveri”. Nello stesso tempo i contadini con la loro fatica giornaliera continuano a coltivare i campi ricoperti di bionde spighe di grano e da quelle distese spuntano i colori accesi di tanti papaveri che seducono lo sguardo e invogliano il desiderio di rimanere soli con sé stessi.
Raccogliere i frutti che la terra in ogni stagione offre generosamente e saperli trasformare in ricchi e deliziosi “bottini” che regalano al palato sensazioni indimenticabili, come il grano macinato poi reso semola e, dopo una lunga e laboriosa lavorazione ricambiata in pane. Quel pane che ha un sapore unico, un aroma intenso quasi struggente e che conserva tutto il sapore autentico del passato.
Il zichi è un pane preparato con farina di grano duro con forma arrotondata e sottile di pochi millimetri, morbido che diviene croccante dopo parecchi giorni, da sempre lavorato dalle mani esperte delle cuoche di casa, che trattano l’impasto arricchito dall’immancabile crescente su framentu, su frammentu, su fromentu, su fremmentalzu, s’imbonidori, sa madriga, sa madrighe, sa mamma, su prementu sardu, su ghimisone, su pane‘onu, il lievito madre sardo fatto in casa, che per tradizione è utilizzato per far maturare l’impasto di ogni tipo pane.
Il pane zichi dei bonorvesi prodotto con una metodologia di lavorazione che risale alla preistoria e proprio grazie a questa abilità che oggi viene indicato come “prodotto tradizionale della Sardegna”. Questo pane è quello rustico che i pastori del luogo, durante il periodo di trasferimento da un territorio all’altro per permettere alle pecore di brucare l’erba fresca e incolta dei terreni sassosi, consumavano con il formaggio, la salsiccia, il guanciale, le olive, le cipolle, le erbe selvatiche sempre con l’inseparabile coltello “pattada” e l’immancabile zucca colma di vino.
Il pane zichi, infatti, dura per lunghi periodi e una volta essiccato a Bonorva lo utilizzavano e lo utilizzano spezzato, in sostituzione della pasta comune, in quanto ha la peculiarità di “tenere” la cottura quasi come la pasta.
L’impiego più usuale era ed è quello di consumarlo in brodo, condito con un pesto di lardo e prezzemolo, finocchietto di campo, con l’aggiunta di patate, cipollotti, fave e salsiccia non troppo stagionata. Il, zichi, inoltre continua ad essere adoperato in parecchie altre ricette, sempre sapientemente dosato che immancabilmente trasmettono armonia di profumi, di festa, di sapori e tradizioni di casa.
Ecco perché ogni anno a Bonorva nel mese di agosto la Pro Loco, il Comitato promotore e le Istituzioni, dedicano nel mese di agosto di ogni anno al, pane zichi, una sagra con degustazioni di piatti antichi e unici come quello, di ru pàni buddiu, o, buddittu, il pane bollito di Bonorva.
Ingredienti:
g 400 di pane tipo, zichi, o, spianata, indurito, per il brodo: g 250 di lardo, un mazzetto di prezzemolo, un mazzetto di finocchietto selvatico, 4 pomodori secchi, 2 spicchi di aglio, g 200 di salsiccia secca di poca stagionatura, cannacca, 4 cipollotti con il verde, 4 patate, vino bianco secco, pecorino stagionato, olio extravergine d’oliva, sale e pepe di mulinello q.b.
Preparazione:
prima di tutto poni il lardo su di un tagliere e con un coltello a lama pesante riducilo a poltiglia insieme al prezzemolo, al finocchietto, ai pomodori secchi ben dissalati, all’aglio e il battuto ottenuto versalo dentro a un capace recipiente di terra cotta dalle pareti alte, padédda mànna, con la salsiccia a rondelle, un giro di olio, i cipollotti a pezzi, le patate a fettine e una spruzzata di vino. Quando evaporato, aggiungi 3-4 litri di acqua di fonte (nessuno ti vieta però di usare del buon brodo di pecora sgrassato e filtrato) e porta a bollore la preparazione. Nel mentre spezzetta il, pane zichi, e tienilo da parte in attesa che il brodo sia pronto. Non appena quest’ultimo ha preso il bollore, prosegui la cottura per un’ora, aggiusta il sapore di sale, impreziosiscilo con una macinata di pepe, poi tuffaci il, pane zichi, tenuto da parte e appena risulterà cotto al dente (circa una decina di minuti), scodella il, pani buddìtu, il pane bollito, caldissimo dentro a quattro ciotole, condisci la zuppa con una generosa grattugiata di pecorino, un’ulteriore macinata di pepe, una carezza di olio e porta immediatamente in tavola. Vino consigliato: Cannonau di Sardegna dal sapore che varia dal secco all’abboccato, sapido, caratteristico, caldo, armonico.
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