di Nino Cannella
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Quel ramo del lago di Co… (oh…pardon!), quel tratto sinistro della Via Mazzini che volge più o meno a Mezzogiorno, tra due catene interrotte di monti, tutto a seni e senza golfi, vien quasi a far schifo, e rende ancora più sensibile al mio occhio quel che il mio sguardo amaramente contempla quando mi affaccio al balcone del mio atelier di pittore, al terzo piano della mia casa-studio sita al numero 38 della stessa strada. Un’area scombinata e pericolante tra i numeri civici 51-53-55 e 57, quasi frontale al Caseggiato Sanna recentemente restaurato, e pertinente dall’altro lato la Piazza Giulio Fanari ancora tragicamente da completare.
Distante non più di 50 metri dalla piazza centrale del paese, quell’insieme sgradevolmente interno alla via Mazzini mostra d’assumere i contorni di una vergogna paesana per come è ridotto e per come appare tra scalcinati marciapiedi, deprimenti ruderi di “ladrini”, erbacce, eternit di spaventoso e malsano grigiore stante entro il limite geometrico di tre o quattro architetture pubbliche di certo rilievo, come il già detto Caseggiato Sanna, il Montegranatico, la drakulesca facciata di quella che fu la bella palazzina d’epoca dell’antica merceria Ruggeri, che andrebbe anch’essa degnamente restaurata assieme al disastroso squarcio creato in forma di banale spiazzo per parcheggi all’angolo di via Tevere (che costò l’abbattimento del bel palazzo a tre piani con altàna, esempio unico d’architettura stilisticamente umbertìna in paese), scomparso assieme a tutto il resto di storica valenza epocale sotto la sensibilità e le ruspe di atavici governi locali risolutori dell’eterno nulla, e secondo me da ricostruire in identica volumetria e stessa progettualità formale, con l’aggiunta di un gradevole stilismo post-modern che meglio si adatti al tempo.
Ma, ovviamente, priorità e preferenze dell’Amministrazione comunale sembrerebbero quelle di far scoprire al visitatore le inverosimili “bellezze interne del paese”, nell’improbabile tentativo di rivaleggiare – per una o due delle varie stradicciole annesse – con qualche contrada senese, o con qualche calle veneziana o qualche rione romano con tanto di luci sotto-stradali a Led. Niente da dire su quelle scelte, se non chè l’innesto dei sampietrini su pochi metri di via Carducci fino all’inizio di via Martini non sarebbe necessaria e urgente risoluzione se i marciapiedi antistanti il vicinato di Santu Pisandru (o Pisandulu, come dice qualcuno) sono ancora in quello stato penoso rispetto alla valenza museale e culturale che quel quartiere può rappresentare rendendosi più attivo e più partecipato.
Addio, dunque, monti sorgenti dall’acqua ed elevati al cielo, se non ci si vuole rendere conto di questa nota mia personale.
Questa mia riflessione a mezza voce è da considerarsi una lettera aperta.
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