di Maurizio Onidi
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È scientificamente provato che il potere logora chi lo ha ma anche e soprattutto chi non ce l’ha, come usava ripetere Andreotti anche se nello specifico l’aforismo sarebbe riconducibile a Charles Maurice de Tayllerand, un diplomatico francese del ‘700.
Sono affetti da queste sindromi top manager di grandi multinazionali come pure un’alta percentuale di politici, da quella romana a quella regionale.
Quanto sta accadendo in questi giorni in casa PD, l’uscita dal partito di Matteo Renzi, né é la prova provata.
Non avendo la sfera di cristallo non sono in grado di prevedere se questo potrà avere delle conseguenze sul futuro neonato governo giallorosso che alla luce di questa scissione potrebbe ampliarne la gamma cromatica ma certamente mette ancora una volta in evidenza le criticità e la necessità di intervenire sull’articolo 67 della Costituzione.
Se da una parte questo non prevede “il vincolo di mandato” a mio avviso è altrettanto vero che nel momento in cui un candidato lascia la formazione che lo ha portato in parlamento, di fatto rende sterile “la sovranità popolare”, creando una situazione non prefigurabile dall’elettore nel momento in cui lo ha eletto.
Premetto e ribadisco che non sono uno studioso di diritto costituzionale ma ciò non mi impedisce di fare delle riflessioni a voce alta sul fatto che forse ancora una volta nel politico ha prevalso la voglia di potere personale che l’elettore non gli ha delegato.
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