Si può fare, ancora oggi a centuno anni esatti dalla sua irruzione nella storia, l’elogio della Rivoluzione russa e della Repubblica dei soviet degli operai, contadini e soldati che ne consegui? Si deve fare! Non fate caso a quello che si dice in giro, della Rivoluzione russa e del comunismo: guardate a chi e a cosa serve, parlarne in modo così negativo, guardate cosa sta combinando al mondo intero lo strapotere del capitalismo attuale. Per il giovane, ma già universalmente noto filosofo Diego Fusaro, (conosciuto persino a Villacidro, più noto di così!) la Rivoluzione russa, è stata oggetto di una feroce e volgare demonizzazione nei media dai giornali del padronato aziendale e dagli intellettuali al guinzaglio più o meno corto delle attuali classi egemoni, e ci sono almeno cinque buone ragioni per celebrare la Rivoluzione russa: 1. La Rivoluzione leninista, dopo la Comune di Parigi, (ma su scala interna e internazionale incomparabilmente più vasta) è stata la prima rivolta delle classi subalterne politicamente organizzate, contro il dominio classista del capitalismo egemonico. 2. La Rivoluzione leninista ha reso possibile il comunismo, a cui dobbiamo, contro le falsificazioni della storiografia pigra e allineata, la liberazione dell’Europa dal nazifascismo. 3. La Rivoluzione di Lenin e il comunismo storico del ‘900 hanno contenuto, fino al 1989, la marcia della barbarie capitalistica, (che non a caso, dopo questa data vince facile senza incontrare ostacoli). 4. La Rivoluzione di Lenin ha reso possibili le conquiste salariali e lo Stato sociale, l’Ombra dell’URSS, fino al 1989 si stagliava imponente dietro i sindacati dei Paesi occidentali, rendendoli più forti. 5. La Rivoluzione russa ha reso possibile pensare un mondo diverso, rispetto alla barbarie capitalistica ma anche allo stesso comunismo storicamente realizzato. (Quello sovietico, o quello cinese, per esempio). Dopo il 1989 si impone come solo mondo possibile il FREE SYSTEM MARKET, eclissa la possibilità di un altrimenti. Per queste ragioni dobbiamo incondizionatamente celebrare la Rivoluzione russa, e il 1917 come anno epocale della storia dell’umanità, o come direbbe Hegel, come tappa fondamentale nel percorso dello Spirito nell’acquisizione della propria universale libertà. (Il Fatto Quotidiano.it, 10 novembre 2017). Sono assolutamente d’accordo. Di mio, mi permetto di aggiungere solo un motivo cromatico: la mia inconculcabile, irrimediabile simpatia per il rosso in politica. Rosso, come? Rosso come il sangue dei martiri di lì oppur di là, morti per la libertà? Certo caro ai ricchi crapuloni o dei loro servi intellettuali che si autoproclamano servi dei servi ma in realtà sono sempre stati e sono ora più che mai servi dei diversi padroni che hanno angariato negli ultimi due millenni i popoli di tutta la Terra. Rosso come il colore dei garofani? Di coloro che hanno tradito le aspettative ideali dei poveri che nel socialismo vedevano lo spazio e il tempo del loro ingresso a pieno titolo nella storia, e nella storia moderna la realizzazione nel mondo socialista della settecentesca volontà popolare; che nella storia Italiana recente hanno spalancato le porte delle istituzioni alle lobby economico finanziarie, alle massonerie, e hanno poi consentito l’attuale revanscismo delle gerarchie di una chiesa che a costo di durissime lotte la Rivoluzione francese aveva estromesso dalla gestione politica diretta del potere temporale e dalla possibilità di catechizzazione e clericalizzazione culturale delle masse popolari, costretta negli anni Sessanta del Novecento a schierarsi, con la sua base più sensibile alle problematiche sociali, al fianco degli operai nelle fabbriche, a scendere con loro e con gli studenti nelle piazze delle città di tutto il mondo occidentale a rivendicare diritti sociali e anche, (ma non esclusivamente), diritti civili. No! Questa del rosso sangue è pessima retorica di regime capitalistico, che non appartiene al comunismo di Marx e di Gramsci, ma neanche, a voler leggere con maggiore attenzione e meno pregiudizio la storia del ‘900, a Lenin, Mao o Ernesto Guevara. Non appartiene al comunismo questa simbologia da Dio, Patria, Caramella. S’arrùbiu deu du biu cumenti ‘e su colori de sa cerexia barracocca, druci che su tzùccuru, mancài non fessidi, che coltivavano, non per miracolo, ma per tenace, dura e instancabile opera, dalla poca terra delle nostre colline sassose, mio padre e mio zio, contadini e operai. Rosso, il colore dell’opera loro e di tutti gli altri come loro.
La Rivoluzione dei Soviet ha detto a quegli uomini che non erano, (né dovevano permettere a nessuno di considerarli tali), bestie da lavoro; che il loro lavoro era opera; che messe assieme queste opere individuali, diventavano azione politica, e loro nell’azione, da monadi senza finestre, ciechi come somari alla macina, cellule consapevoli e responsabili di un corpo sociale comune. La rivoluzione dei Soviet degli operai e dei contadini ha trasmesso al mondo intero i consigli di base nelle fabbriche, i consigli degli insegnanti e degli studenti nelle scuole, le rappresentanze sindacali di base in tutti i luoghi di lavoro. Conquiste epocali dissipate dall’attuale vergognosa funzionalità, per fini di carrierismo, dei dirigenti sindacali a questo sistema liberista, a cominciare da quelli locali, legati mani e piedi alle politiche filogovernative di tutti i partiti dell’arco parlamentare, da destra attraverso il centro e fino a una sinistra mai così maldestra, per parlare dell’Italia, ma la situazione non cambia nelle diverse realtà dei Paesi che chiamiamo ancora per comodità industrializzati. Funzionalità politica, amministrativa, economica, culturale, che dentro la struttura, regge dalle fondamenta questo sistema iperliberista, vera bestia trionfante all’alba del Terzo Millennio, caratterizzato dalla trasformazione planetaria in senso calvinista di tutte le chiese cristiane, in particolare di quella cattolica, i cui pastori sono tornati oggi all’esercizio diretto del potere, a quel ruolo di vescovi-conti tenuto per tutto il Medioevo, e In italia hanno ormai ri-conquistato tutte le casematte: scuole, lavoro, istituzioni, media tradizionali e informatici. Proprio per questo la Rivoluzione russa, che porterà qualche anno dopo al potere dei Soviet, va celebrata, va ricordata a chi l’ha troppo facilmente dimenticata, va raccontata ai giovani che non l’hanno mai sentita, se non da chi vuole spaventarli, come si faceva coi bambini evocando l’uomo nero, o dalle nostre parti momotti! Che fine abbia fatto il progetto della squadra che realizzò l’impresa, quanti dei suoi eredi ideali sono passati nelle file del professionismo politico di marca borghese, allettati dai ricchi ingaggi e dalla prospettiva del mero vantaggio personale, è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono guardare e non solo vedere, ascoltare e non solo sentire. Chi vuol sapere sa; e a chi non sa perché obiettivamente non può sapere, bisognerà pur dirlo che le grandi e rivoluzionarie novità, le impossibilità che si vogliono realizzare, sono già state, che la storia obbedisce alla legge che impone che sarà solo quello che in qualche modo è già stato. Per questo ancora oggi possiamo e dobbiamo dire: viva lo spirito originario della Rivoluzione francese, ma ancora con maggior convinzione: ri-viva lo spirito della Rivoluzione dei Soviet, lo spirito comunista dei nostri nonni, dei nostri genitori operai e contadini che ci hanno creduto, dei loro figli migliori, che si sono elevati dalla zolla, e che sono stati nel loro nome, ricordo e memoria, intellettuali organici a questo sogno a occhi ben aperti: Lenin, Mao, Antonio Gramsci, Emilio e Joyce Lussu. E tantissimi altri.
Antonio Loru
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