di Paolo Salvatore Orrù
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“Marceddì è la poesia che non riesco a tradurre in versi”, ha detto Simona Pau autrice di un libro di ricette di mare – Marceddì: sa pingiada de mari. Contus de mandiaris, de pisca e de piscadoris” – che va prima va letto, poi sperimentato in cucina. Per Simona il piccolo borgo che si affaccia sulla laguna di Marceddì (frazione di Terralba) è rifugium, luogo del cuore, ma ultimo baluardo di ricette dimenticate. “Allegra e malinconica, colorata e grigia, è una borgata dall’anima tormentata che riesce a donarmi pace, uno di quei luoghi che ti abbracciano e ti fanno sentire a casa anche se sei straniero. Per me è una combinazione di memorie, odori e suoni”, ha spiegato.
Da questo groviglio di sentimenti, l’esigenza di regalare ai lettori un universo di simboli e sapori. E risonanze: “Questo accade”, secondo la scrittrice, “nella ricetta de sa cocioba imbriaga, quando le arselle vengono tuffate nell’acqua riproducendo le stesse sonorità della laguna da cui provengono”. Per dipingere questo quadro, la Pau ha scelto il sardo. Nessuna altra lingua, “altrimenti”, sarebbe stata capace di cogliere l’anima della borgata marina. “La sua immediatezza, la sua ricchezza espressiva, il suo graffio sono stati fondamentali affinché non venisse meno il carattere del luogo”. Il sardo, dunque, come lingua madre nonché veicolo comunicativo normale “in un mondo che ha visto il suo il suo declassamento a dialetto”. Parole che farebbero felice il grande Francesco Casula.
Se si desidera associare il binomio Marceddì-lingua sarda a un’immagine, “la prima figura che si presenta davanti a miei occhi è quella di un passo a due, in cui i due interpreti, la borgata e la lingua, dopo l’adagio eseguito insieme, ballano da soli per poi ricongiungersi nelle pagine del mio libro”, commenta la scrittrice, presentando il libro nato grazie al contributo sulla “Tutela Minoranze Linguistiche storiche” della Regione Autonoma della Sardegna (L. 482/99, artt. 9 e 15 – L.R. 6/2012, art. 13, comma 2 – L.R. 22/2018, art. 10, comma 4 e 5) e fortemente voluto dal Sindaco del Comune di Terralba Sandro Pili e dall’Assessora alla Cultura Giulia Maria Elena Carta.
Simona Pau non balla da sola. “Perché Marceddi e la sua laguna? A differenza di tanta parte dei miei compaesani non ci ho mai vissuto, neanche d’estate. Ho iniziato a frequentare questi luoghi sporadicamente e non è mai scattato il colpo di fulmine, ma ogni volta che ci bazzico mi trasmettono sensazioni, stimoli e riflessioni che poi restano impressi. Il lavoro svolto con Simona è stato un esempio quasi paradigmatico di ciò. Tutte le interviste che abbiamo raccolto sul campo hanno contribuito a modificare la percezione che ho sempre avuto di questi posti”, ha spiegato il curatore del libro Alessandro Cauli, cogliendo aspetti che spesso in un libro di ricette non vengono considerate.
“Il punto di vista materialista del cibo e del lavoro in mare mi ha fatto cogliere molti aspetti di questa comunità che prima ignoravo o trascuravo, dal lavoro di chi sta in mare a quello di chi invece fatica sulla terraferma ma sempre parte di un piccolo villaggio a suo modo tolstojanamente universale”, ha concluso Cauli. Il libro è corredato anche una piccola, ma interessante galleria di foto, alcune appartengono ad antiche collezioni, altre, le ha scattate Ignazio Figus. “La mia gloria nel mondo della fotografia contemporanea adesso dipende da voi”, ha rivelato l’ex professore delle Industriali di Oristano con una grande propensione alla fotografia, pur sapendo che questo non può essere vero. Tuttavia, va subito detto che il signore di Uras oltre a essere un eccellente conversatore è davvero un fotografo capace: lo dicono i suoi innumerevoli estimatori, ma soprattutto i suoi scatti. “Marceddì è stata scelta più volte – ha spiegato Figus – come location per le lezioni pratiche di ripresa nei corsi di fotografia organizzati dalla mia Associazione Culturale Fotografica Assophoto di Oristano”.
Le immagini confezionate dall’urese per la pubblicazione hanno una funzione essenzialmente documentaristica, “anche se – ha detto – per quanto riguarda le vedute, ho cercato, nella maggior parte dei casi, il giusto rapporto tra luce e ombra, dove è la luce che decide cosa farti vedere, svelando in maniera efficace certi dettagli di forma e colore. La luce radente di prima sera è quella che riesce meglio ad esprimere la suggestione del luogo”. Nell’inserto fotografico sono presenti anche sei immagini di food photography, riguardanti alcuni piatti di mare tipici della gastronomia locale, mentre le foto d’epoca sono state concesse dalla Proloco. “È stata una esperienza stimolante, tant’è che sto pensando ad un nuovo progetto di site specific, ovvero su Marceddì e per Marceddì, con le immagini da esporre all’ esterno, negli stessi luoghi di ripresa. Ragiono su un lavoro che curi maggiormente l’aspetto antropologico, dando rilievo ai pescatori e alle persone che abitano periodicamente la borgata”. Professore è tempo di osare, è tempo di andare oltre le intenzioni, perché la “mano” c’è.
Il libro è stato pubblicato da Arkadia
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