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ATTUALITÀ

Sa mesa de is turronisi

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di Roberto Loddi
de Santu ‘Engiu Murriabi
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Roberto Loddi

Il torrone viene consumato copiosamente durante le feste natalizie.

Il torrone prende il suo nome dal latino torrere, tostare, probabilmente in riferimento alle mandorle e alle nocciole che generalmente lo compongono.

Altre fonti però attribuiscono a Cremona, la “città del torrone”, forse per via del “Torrazzo”, la torre del duomo l’origine del nome.

Sempre a Cremona, i maestri torronai sostengono che il torrone nacque nel 1441, e precisamente durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne confezionato per l’occasione un dolce con la forma del Torrazzo. Il torrone per l’appunto.

Benché si abbiano testimonianze di una tipologia di torrone già nell’antica Roma, dove esisteva un dolce preparato con miele, albume e mandorle. Altre versioni attribuiscono l’invenzione agli arabi che lo portarono nel bacino del Mediterraneo, in particolare in Sicilia, dove si trova la “cubbaita” o “giuggiolena”, un torrone simile a quello arabo, tanto è vero che il torrone – turun – viene citato nel trattato “De medicinis et cibis semplicibus”. scritto da un medico arabo.

In realtà, la sua origine rimane avvolta nel mistero.

Se si risale il corso della storia, si arriva addirittura in Cina, dove pare che il torrone sia nato, luogo dal quale proviene storicamente la mandorla.

Il lemma torrone viene menzionato per la prima volta in un testo italiano di cucina del 1500 nell’opera del Messisbugo: “Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale”.

In Italia ci sono tante città che producono torroni speciali, come ad esempio: Benevento. Gli abitanti della splendida cittadina sostengono infatti che nel lontano 1266, quando Carlo d’Angiò giunse a Benevento, con al seguito pure il cuoco personale che lo deliziava di succulenti manicaretti, tra i tanti il “touron” ovvero il dolce di Tours, cittadina della Francia, dove Carlo d’Angiò era nato.

La forma cilindrica che lo chef attribuiva al dolce ricordava infatti la sua patria lontana, ma con il passare dei secoli, il torrone prese la forma quadrata che è tipica delle torri e dei campanili delle più belle città italiane. E, sempre a Benevento, l’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, in occasione delle feste natalizie, ebbe modo di assaggiare il torrone, dolce delizioso che i pasticceri del capoluogo campano preparavano con tanta passione. Quando l’arcivescovo fu eletto Papa, con il nome di Benedetto XIII, decise di promuovere la ricetta anche in Vaticano, legando al torrone il marchio indiscusso di dolce natalizio.

I cremonesi d’altro canto non sono rimasti a guardare e ricordano a loro favore una antica leggenda la quale narra che al tempo delle Crociate, un folto drappello di Cavalieri di Cristo si trovava assediato in una torre di pietra. Stanchi ed affamati, proprio alla vigilia del Santo Natale, senza nemmeno una briciola di pane per potersi nutrire, uno del gruppo ebbe l’istinto di pregare il Signore di trasformare quella prigione in “pignocata”, un dolce preparato a base di buon miele e mandorle, che pare somigliasse alle pareti di quella torre. All’improvviso il miracolo avvenne e i Crociati, una volta rientrati a Cremona, decisero di cambiare forma alle pignocate, dandogli l’aspetto del torrazzo, che è il simbolo della bellissima cittadina lombarda. Da allora i cremonesi imposero ai pasticceri di preparare il torrone con la forma a tutt’oggi attuale e ne rivendicano la paternità.

A mio avviso, in parecchie città italiane si produce una buona qualità di torrone, lo si ottiene non solo per la capacita e bravura dei nostri pasticceri ma anche grazie alla qualità delle materie prime quali: mandorle,  nocciole, miele e tante altre ancora.

Ma tra storie e leggende, secondo alcune convinzioni furono i romani a far conoscere questo dolce, imparando la tecnica dai sanniti che lo facevano come tutt’ora lo preparano in Sardegna, con il miele, essendo lo zucchero un ingrediente allora ignoto e non disponibile.

Secondo altre fonti fu diffuso nei paesi iberici dagli arabi, per poi giungere in altri territori, anche se rimangono solo ipotesi.

In Sardegna il torrone viene prodotto in diversi paesi da secoli, i più rinomati sono Aritzo, Desulo, Pattada, Tonara e Guspini, solo per citarne alcuni. A Tonara, – sos torronargios – i torronai, preparano la maggior quantità di pregiato torrone consumato nell’Isola, anche se oggi gran parte viene esportato in tutta Italia.

Sempre a Tonara, il torrone veniva preparato solitamente dalle donne, dentro a – su gheddargiu – capace paiolo di rame, nel quale veniva fatto liquefare il miele per parecchie ore, con l’aiuto di un bastone ottenuto da un fusto di corbezzolo – sa moriga -. Il paiolo veniva sistemato su un treppiedi di ferro – trebini – o su un fornello in mattoni intrecciati – sa forredda – posto su un fuoco preparato con rami di agrifoglio, in quanto questi arbusti non fanno fumo.

Una volta sciolto il miele si allontanava il recipiente dal fuoco e si aggiungevano gli albumi, si mescolava per una mezzora, quindi si riposizionava il paiolo sul fuoco e si continuava a mescolare per altre quattro ore. Trascorso il tempo, veniva unito del succo di limone e poi le mandorle – turrone de mendula -, se invece si utilizzavano le nocciole, prendeva il nome di – turrone de linzola – e se adoperavano le noci il torrone prendeva il nome di – turrone de coccoro -. Questa lavorazione si ripete ancora oggi con gli stessi ingredienti e  le stesse modalità per la gioia di ierei come quella di oggi.

Altra cittadina famosa per la produzione di torrone in Sardegna è Guspini, località di 11560 abitanti circa in provincia del Sud Sardegna, dove si trovano testimonianze pre-nuragiche, nuragiche, fenicio-puniche, bizantine e romane.

Guspini fece parte del giudicato d’Arborea, nella curatoria di Bonorzuli.

Nel 1164 il giudice Barisone I donò ai genovesi un castello sito sul monte Arcuentu eretto nel 1100.

Nel 1420 il paese entrò a far parte del Marchesato di Oristano.

Nel 1478, dopo la caduta degli arborensi, Guspini passò sotto la dominazione aragonese che lo inglobarono nella contea di Quirra, possedimento dei Carroz, per passare poi nel 1603 al potere dei Centelles, di seguito agli Osorio de la Queva, dai quali nel 1839 fu riabilitato con l’abolizione del regime feudale.

Dalla metà del secolo scorso, Guspini ha legato la sua storia con quella delle  miniere di Montevecchio e di tutti i paesi vicini.

Oggi Guspini è un paese di agricoltori e di allevatori, dedito alla pastorizia.  Il paese annovera diversi artigiani legati alla fabbrica di coltelli e vanta diverse aziende leader nel settore della ceramica. Nel settore enogastronomico si distingue la produzione della salsiccia sarda, dei formaggi di eccellente qualità e dei prodotti lattiero-caseari.  Non da meno è la produzione di dolci tipici e dulcis in fundo… quella dei torroni, fiore all’occhiello dalla cittadina, laddove ogni anno nel mese di dicembre viene dedicata una fiera – sa mesa de is turronis – la tavola dei torroni, con degustazioni e preparazione del torrone dal vivo con esposizione di prodotti locali in bancarelle armoniosamente agghindate.

Da non dimenticare i piatti caratteristici della cucina paesana, ricchi di storia come – su pastu mistu o piocu a carraxiu – tacchino ripieno di volatili cotto sotto terra, solo per citarne uno.

Questa ricetta, un tempo era presente nella “lista cibaria” della cucina sabauda. Infatti ai tempi del regno Sardo Piemontese, i cuochi di corte ebbero l’estro e la maestria di affinare tale preparazione, cucinando un fagiano dentro ad un tacchino (fagiano in cocotte), il  tutto cucinato per diverse ore in una capace marmitta, assieme a del lardo, strutto  suino, vino  bianco, brodo, olio extravergine d’oliva, sale, pepe e aromi vari.

Ingredientis:

g 750 di miele millefiori, di corbezzolo, di acacia o eucaliptus, 1 limone giallo non trattato, g 750 di mandorle sgusciate e tostate, 3 albumi d’uova, ostie q.b.

Approntadura:

fai sciogliere il miele prescelto dentro a un recipiente di rame stagnato posto a bagnomaria sul fuoco (di solito lo ponevano su un fornello di mattoni intrecciati – sa forredda – o su un treppiedi di ferro battuto – su trebini -). Intanto monta a neve ferma gli albumi e non appena il miele si è liquefatto allontana il paiolo dal fuoco, quindi aggiungili. Fatto, inizia a mescolare con un bastone ricavato da un fusto di corbezzolo per una mezz’ora circa, dopodiché riposiziona il recipiente sul fuoco nel suo bagnomaria e continua mescolare il composto per almeno tre ore,  o finché l’impasto non diventa consistente.  Solo allora unisci le mandorle (metà tritate grossolanamente e metà intere), una volta amalgamato il tutto, versa il torrone su appositi stampi foderati con delle ostie, livellalo con due mezzi limoni e ricoprili con altre ostie. Una volta raffreddato, ponilo in frigorifero, oppure ridotto a scaglie nel freezer. Vino consigliato: Vernaccia di Oristano dolce, dal sapore fine, sottile, caldo e asciutto con leggero retrogusto di mandorle amare.

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