Salvatore Antonio Aleardo Manno nasce il 4 novembre del 1861, nell’anno clou del Risorgimento, proprio perché l’Italia si compie quell’anno: Milleottocentosessantuno. Si conclude l’època sabauda e s’inizia il Regno d’Italia. Il 18 febbraio del 1861 “l’Italia s’è desta”: si apre a Torino il Primo Parlamento Italiano inaugurato da Vittorio Emanuele “re soldato”, come amava definirsi.
Camillo Benso conte di Cavour (non era ancora il Cavour Camillo conte di Benso, compagno della D’Arborea Eleonora, com’è nelle targhe delle vie villacidresi di questi últimi ventidue anni di Premidessí) presentò il suo Regni articulus al Senato, quando ne era presidente il siciliano Ruggiero Sèttimo e presidente della Càmera era Umberto Rattazzi. Cosí era scritto: “Il Re Vittorio Emanuele II prende per sé e per i suoi successori il títolo di Re d’Italia”. La scelta di farsi chiamare Vittorio Emanuele “Secondo” (e non Primo) era stata dello stesso “re”, per rispetto di tutti i suoi predecessori che, negli ideali del Risorgimento e nell’attuazione del “Regno d’ Italia” eran tutti veramente “primi”, rispetto a lui che ne era, solo per ragioni di tempo e di eventi e grazie al loro aver agito sempre per l’Italia unita, ma in realtà, il vero primo re. L’approvazione si ebbe il 14 marzo del medésimo anno, all’unanimità.
Salvatore Manno era figlio di Francesco, commerciante di Bosa, e di María Atonia Caterina Cogotti. Quest’última era cugina di “Luisu” Cogotti, su meri bonu, síndaco per molti anni di Villacidro (dal 1884 al 1889 e dal 1892 al 1894) e padre del poeta-avvocato Ignazio. La moglie di Francesco (la madre di Salvatore) era infatti figlia di uno zio di Luisu (Efisio Luigi Giovanni Aloysius), Giovanni Battista Antonio Cogotti, esattamente figlia di un fratello del padre di Luisu su meri bonu (anche lui chiamato “Luigi”), e di Giuseppina Orrú.
Le parentele tra le persone “in”, come si dice oggi, di Villacidro, èrano intrecciate. Cerchiamo di vederci chiaro.
Salvatore Manno era anche fratello di María Angela, prima moglie di Peppino Pinna , anch’egli síndaco di Villacidro, súbito dopo “Luisu” Cogotti, dal 1895 al 1900. Giuseppe Pinna era nonno materno di Giuseppe Dessí (sua figlia, María Cristina, nata dal matrimonio con María Angela Manno, si era sposata con il colonnello Francesco Dessí). Giuseppe Pinna e anche zio del romanziere, poiché si era sposato, in seconde nozze, con Elisa, sorella del padre dello scrittore Francesco Dessí). Salvatore Manno era dunque cognato di Peppino Pinna.
Salvatore, inoltre, era fratello di María Giuseppina (anche lei figlia di Francesco Manno e María Atonia Caterina Cogotti), prima moglie di Antonio Luigi Cadoni, conciliatore del re, padre di Gigino-Bernardu de Linas (poeta e grande favolista della Sardegna in versi campidanesi degl’inízi del XX sècolo), e marito, a sua volta, di una sorella di lui, Rosa Cadoni, in quei tempi considerata la piú bella giòvane sposa di Villacidro, di qualche anno piú grande. E dunque Salvatore Manno e Antonio Cadoni eran legati da doppia cognatio.
Ciascuno di loro era sposato con la sorella dell’altro.
In quegli anni di fervore patriòttico, i Villacidresi esultàvano per le gioie cittadine e, in particolare, in casa Manno, familiari. Un loro concittadino, Antíoco Cadoni Cara, fratello dell’avvocato Giovanni Battista, síndaco del paese qualche anno piú tardi (dal 1866 al 1868), sotto la cui amministrazione venne costruito il “Ponte de su vicariu” sulla Fluminera che divideva in due settori longitudinali l’abitato, si laureò a pieni voti in Giurisprudenza il 13 settembre del 1861, nella regia Università di Càgliari, dopo aver ottenuto pieno consenso e plauso per i suoi tre esami di pre-làurea in diritto, con una tesi sul “diritto di non intervento”, una dissertazione di Diritto Internazionale.
Divenne, col tempo, un luminare di Economía política e fondò a Roma un’importante rivista di cultura econòmica, facendo buona compagnía a un altro grande villacidrese, Giuseppe Todde, laureàtosi nella medésima Università in cui, qualche mese dopo, dal 1862, insegnò Economía e Statística, come un comune docente, forse inconsapévole di rappresentare uno dei pilastri fondamentali del pensiero liberale e liberístico dei suoi tempi e d’èssere uno dei maggiori economisti italiani dell’Ottocento.
La famiglia paterna di Salvatore Manno era originaria di Bosa, come si è scritto, tant’è che suo padre Francesco, commerciante di malvasía, era chiamato “busincu” e questo suo patrionímico, divenuto suo soprannome, accompagnava sempre il suo cognome come un epíteto inamovíbile, inseparabilmente: busincu Mannu.
Il suo cognome era registrato inizialmente, nei quinquelibri parrocchiali e in quelli dell’archivio diocesano di Ales, con la terminazione in “u”, Mannu, appunto, che venne modificata nel tempo. In ogni caso, il capostípite divenuto “villacidrese” veniva sempre chiamato busincu Mannu.
Busincu Mannu era lui, suo padre, Francesco. Era invece “cidrese” sua madre, María Cogotti, figlia, lei, di uno dei piú grandi proprietari terrieri di Villacidro e cugina di Efisio Luigi Giovanni Aloysius, meglio noto come “Luisu” Cogotti detto su meri bonu perché convinto sempre che la cattiveria si combatte, cristianamente, con la bontà. Era famoso infatti perché non denunciava mai ai gendarmi i ladri delle màndorle, delle olive, delle arance dei suoi terreni, ma, nel caso fòssero stati colti in fallo, li faceva rimandare nelle loro case con la metà dell’improprio raccolto, dichiarando una sorta di preaccordata mezzadría con ciascuno di loro. Su meri bonu, padre di Ignazio Cogotti, il poeta di lingua campidanese piú conosciuto nell’ambiente universitario e cittadino che non in paese, sarebbe col tempo divenuto il síndaco piú apprezzato, piú stimato fra tutti i síndaci del paese, anche perché aveva arricchito Villacidro di òpere egregie, forse grazie ai consigli di un richiestíssimo e validíssimo scultore noto per le tante grandi òpere che faceva in Sardegna, Sartorio, maestro di tanti scultori nostrani e della penísola. Gli commissionò persino l’immàgine del suo volto, quella che oggi osserviamo nel medaglione cimiteriale, l’altorilievo in cui “Luisu” venne effigiato di tre quarti. A questo capace síndaco Villacidro deve l’ideazione e la costruzione del “Lavatoio púbblico” con l’accostamento armònico del marmo o travertino e della trachite (típico del Sartorio, come nel monumento al Minatore d’Iglesias) e della “Fontana dello zampillo” di trachite anch’essa, con elementi di bronzo bocche-di-leone, quali ornamenti delle cannelle dell’acqua potabile. L’uno e l’altra divenuti monumenti dell’ignavia e dell’abbandono, dell’arroganza e del cattivo gusto, ma soprattutto del disprezzo della bellezza e della storia del pòpolo villacidrese.
Antonio Vincenzo Ignazio Cogotti, l’avvocato-poeta, nacque il 27 gennaio del 1868, appena 6 anni e qualche mese dopo Salvatore e man mano che crescévano, insieme irrobustívano la loro recíproca amicizia. Tutt’e due erano legati fraternamente anche al loro cognato Antonio Luigi Cadoni: questi era cognato del Manno, per il primo matrimonio con sua sorella María Giuseppina, cognato del Cogotti, per il secondo matrimonio con sua sorella María. Anche se era piú anziano di loro, essendo nato nel 1846, l’8 di novembre, Antonio Cadoni, li frequentava assiduamente. Lo separàvano quíndici anni da Salvatore e quasi ventidue da Ignazio.
Efisio Cadoni
RIPRODUZIONE RISERVATA
Aggiungi Commento