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Cultura Gonnosfanadiga

Santa Barbara e i Giudici di Arborea

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La Sardegna post bizantina era divisa in quattro piccoli Stati chiamati Giudicati, a capo dei quali stava un capo, chiamato Giudice, che aveva le stesse mansioni e la stessa dignità di un re. Era infatti il Re di piccolo Stato.

Gonnosfanadiga apparteneva al giudicato di Arborea. Ogni Giudice doveva curare i beni del Rennu, cioè del suo Stato, cosa di cui doveva rispondere ai suoi sudditi, ma possedeva anche una cospicua quantità di beni personali, di cui poteva disporre liberamente. Di questi beni ne possedeva anche a Gonnos e ce lo dimostrano due toponimi ancora usati. Il primo è Ottioniga (da ottu de donigaottu dy ‘oniga – ott’y oniga – Ottioniga). Significa orto del Signore, cioè del Giudice.

Il secondo è Bingioniga (da Bingia de doniga – bingia dy ‘oniga – bing’y oniga -Bingioniga), che significa vigna del Signore, cioè del Giudice. È noto che i Giudici amavano seguire personalmente le loro proprietà private e ciò autorizza a pensare alla sua presenza nel nostro paese.

Ma non era il solo motivo, perché ce ne era un altro, forse ancora più importante, che era quello della salute. Gonnos era infatti forse l’unico dei villaggi del suo regno, con una temperatura estiva piacevole, acque fresche e pure, tutto il contrario della sua residenza nell’Oristanese, con Ie sue pestilenze, un clima insopportabile e la temutissima malaria che, già dal periodo romano, costituiva in Sardegna una terribile piaga senza rimedi validi. Era infatti pestifero d’inverno e insopportabile durante i forti calori estivi. Il toponimo Bingioniga non deve trarre in inganno facendo pensare ad un semplice vigneto, in quanto con “Bingia” si indicava qualunque zona coltivata, oltre che a vigneto, anche a qualsiasi coltura specializzata, in particolare di fruttiferi, tanto e vero che, fino ad una sessantina di anni fa, col termine “Binnennai” (vendemmiare ), si indicava sia la raccolta dell’uva, sia quella dei prodotti dell’orto, anche se oggi questo secondo significato e del tutto sconosciuto ai giovani. Nella “bigia” potevano essere comprese tutte le colture, eccettuate quelle granarie e cerealicole. Nel nostro paese consisteva in una zona molto vasta, tuttora chiamata Bingioniga, di grande importanza per il Giudice e per i suoi interessi personali in quanto, ripetiamo, era tutta sua proprietà privata. Altri interessi del Giudice nel nostro paese, sono attestati dai toponimi Pranu Sirba ( Pianura delle cacce) e Terra Sirba ( Terreno delle cacce)    (Sirba 0 silva). Le Silvae erano cacce periodiche ( silvas donnicas ) a favore del Giudice, del Curatore. del Maiore de Scolca… della cui cacciagione ne era consegnata solo una parte.

Ma, oltre a questi interessi, c’e un altro documento importante che indica nel Giudice anche il realizzatore della chiesa di Santa Barbara in Gonnosfanadiga : La chiesa di San Gavino nella vicina/Sangavino Monreale, coeva di quella di Santa Barbara in Gonnosfanadiga. Nella prima, il Giudice, volle lasciare la sua firma attraverso i busti degli Arborea. ancora presenti in quella chiesa. Più grande quella di San Gavino in quanto sede della Curatoria di Bonorzoli, dove si svolgevano cerimonie importanti riguardanti il Giudicato, più piccola quella di Santa Barbara perché riguardava il Giudice, i suoi familiari e la sua piccola corte, nel periodo estivo in cui risiedeva a Gonnos. (Pensiamo almeno i mesi di Luglio e Agosto ). Lo stile e uguale nelle due chiese. Va notato che le due cappelle laterali, con volta solida a costoloni incrociati, richiedevano una spesa in denaro molto rilevante, che i nostri paesani di allora non potevano certo permettersi. Se le nostre deduzioni sono esatte, tutto concorre ad indicare nel Giudice l’unica persone in grado di sostenere tali spese.

restaurata

C’e un altro particolare molto importante, che aiuta a precisare la data di consacrazione di Santa Barbara : quello della data nella piccola campana, usata successivamente nella chiesa campestre di Santa Severa e ancora intatta, che e del 1388, la stessa data a cui risale la chiesa di Sangavino Monreale. Le due chiese, quella di Gonnos e quella di Sangavino, possiamo considerarle sorelle gemelle, nate insieme, cresciute insieme, consacrate insieme nello stesso anno 1388.

Riportiamo parte di quanto scritto dallo studioso Prof. Francesco Cesare Casula sulla chiesa di Sangavino, convinti che vi sia un perfetto parallelismo con quella costruita a Gonnos, parallelismo di date e di stili: “La chiesetta di San Gavino… fu finita di costruire e consacrate il lunedì 25 Sett. 1387 (1388 st. pis.)… La fabbrica della chiesa di S. Gavino – predisposta fin dal 1347 fu iniziata per volere del padre di Eleonora, il grande Mariano IV, verosimilmente dopo il 1353… e la costruzione della chiesa fu proseguita, evidentemente, dal figlio Ugone III… fu portata a termine da Eleonora…” (Francesco Cesare Casula – Sardegna catalogo catalano – nota di copertina).

La campana del 1388, doveva essere necessariamente quella della chiesa di Santa Barbara. Non poteva essere della precedente chiesa di S. Antonio Abate, in quanto le chiese del periodo bizantino non erano dotate di campane. La stessa cosa si può dire per la chiesa di Santa Severa, anch’essa di periodo bizantino. Non resta che attribuirla alla primitiva chiesa di Santa Barbara, ribadendo che anche la campana presuppone un’unica persona facoltosa, in grado di pagarne l’acquisto.

Ad avallare la nostra tesi sulla scelta del Giudice di eleggere a propria zona di villeggiature il nostro paese, può contribuire anche la stessa scelta, documentata, fatta da altre personalità illustri, come il Vescovo della Diocesi di Ales – Terralba che la scelse come residenza abituale (Boll. Parr. Febb. 1929 ), la Marchesa di Neoneli (Boll. Parr. On. 1931 ), nonché quella di tutti i rettori che, nel lungo periodo in cui la Rettoria di Gonnos comprendeva anche il villaggio di Uras, scelsero Gonnos come residenza permanente, ignorando completamente quella di Uras.

È opportune ricordare, che il periodo caldo era quello, oltre che il più ameno, anche il più impegnativo per lo stesso Giudice nella sua proprietà, in quanto nel periodo caldo si praticavano certe colture, di cui era necessario sorvegliare anche il raccolto.

RIEPILOGANDO

Vista la perfetta documentazione riguardante la chiesa di San Gavino in San Gavino Monreale; Vista la corrispondenza dello stile di quella con quello di Santa Barbara

Vista la corrispondenza dei materiali usati nelle due chiese, necessariamente importati; Vista la corrispondenza dell’anno di consacrazione delle due chiese, attestata a Gonnos dalla campana del 1388; Vista la presenza della cospicua proprietà privata dei Giudici di Arborea, attestata a Gonnos, oltre che dai toponimi citati, anche da altri toponimi; Vista la scelta di altri personaggi illustri che scelsero Gonnos come luogo salubre di villeggiatura; Visto che l’antica parrocchiale intitolata a S. Antonio Abate non era certo degna del rango dei Giudici di Arborea; Visto che solo la potenza del giudice poteva decretare la demolizione dell’antichissima chiesa di S. Antonio Abate, la parrocchiale del villaggio, caso restato unico, per far posto ad un’altra decisamente più moderna, bella, elegante, di dimensioni molto maggiori; Visto che la nuova costruzione comportava una spesa che solo una persona molto facoltosa poteva affrontare. Questi ed altri motivi, dovrebbero essere più che sufficienti per escludere altri committenti che non fossero gli stessi Giudici di Arborea.

LA BELLA CHIESA DEL GIUDICE – RE

Nel ‘600 questa chiesa fu vittima di un primo grande ampliamento, che comportò la demolizione dell’intero fabbricato. Si salvò solo una delle cappelle originarie, in stile gotico, quella che ancora possiamo ammirare. La facciata venne spostata avanti e ingrandita, però si utilizzo lo stesso ingresso della precedente sormontato da arco a sesto acuto e abbellito da modanature. Purtroppo la nuova facciata venne ricoperta con uno spesso strato di intonaco e per secoli nessuno ha potuto vedere ciò che vi era nascosto sotto. Con la rimozione dell’intonaco avvenuto durante il restauro conclusosi nel 2016 e la rimessa in luce della facciata della chiesa originaria, ci si e potuti rendere conto che questa venne costruita senza badare a spese, per essere degne di un Re. Perciò nacque questo perfetto gioiello in stile gotico, di cui possiamo vedere, oltre alla citata cappella, anche quasi vedere la bella facciata originaria. Un disegnatore capace, potrebbe oggi ricostruire il “ritratto” della chiesa primitiva, anche nei minimi particolari. Tra i molti particolari interessanti che potremmo riportare, ne citiamo solo uno perché ci parla chiaramente dei Savoia e di come la pensassero. Si tratta dei quadri della Via Crucis, restati appesi alle pareti della chiesa per 290 anni (1726 > 2014 ).

Per prendere possesso del loro Regno, i Savoia avevano dovuto giurare che avrebbero lasciato tutto come i precedenti dominatori spagnoli avevano lasciato. Compresa la lingua spagnola, che doveva restare quella ufficiale. Perciò vennero prodotti questi quadri in cui la didascalia era scritta in spagnolo. Volevano però far capire che i nuovi padroni erano loro, perciò negli stessi quadri fecero stampare una seconda didascalia in francese, che era la lingua parlata inizialmente dai Savoia.

Comunque lo spagnolo era penetrato così profondamente in Sardegna, che i notai, pur essendo pubblici ufficiali, continuarono ad usarla fino ai primi anni dell’800. E noi sardi ne usiamo ancora una grande quantità.

Enrico Casti

RIPRODUZIONE RISERVATA
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