di Marino Melis
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Ci sono ovunque nel mondo, nomi, cognomi, toponimi, parole di difficile interpretazione la cui origine e significato si perdono nella notte dei tempi. La linguistica, la glottologia, la semantica e altre scienze correlate cercano di ripercorrere a ritroso il cammino del tempo andando alla genesi delle parole, sforzandosi di tessere una rete di collegamenti sempre più antica spesso con lingue e popoli lontani.
È sempre vivo il dibattito in Sardegna sulla mitologica figura del popolo Shardana, che attorno al XIV-XIII secolo avanti Cristo solcava i mari del mediterraneo orientale, mettendo a ferro e fuoco i litorali delle isole egee, dell’Anatolia e dell’Egitto. Per il loro coraggio e baldanza in battaglia, lo stesso faraone costituì una sua guardia del corpo formata da soldati Shardana. Molti vedono negli Shardana genti provenienti dalla Sardegna per via dell’assonanza del nome, ma le similitudini praticamente si fermano qui.
Tra i tanti popoli che hanno frequentato la Sardegna in tutte le epoche, uno in particolare è ancora avvolto in una aurea di mistero e di leggende, nonostante gli importanti studi portati avanti negli ultimi decenni da Massimo Aresu, e altri studiosi. Stiamo parlando del popolo nomade per antonomasia, conosciuto con i nomi di zingari, armeni, hungari, bohemiens, camminanti, gitani, griegos, tutti riconducibili alle grandi famiglie Sinti, Manouches, Rom e Kalè.
Finalmente nel XX secolo i principali studiosi, attraverso l’esame dei substrati linguistici, hanno convenuto sull’origine del popolo nomade: sembra che la culla natale sia stata l’India nord-occidentale, e in particolare le regioni del Punjab e l’Uttar Pradesh. A ondate diverse, gruppi di carovane attorno al 1300 mossero dagli altopiani indiani verso occidente, facendo tappa in tutti i paesi che incontravano, e stabilendosi nel grande impero bizantino. Qui abbracciarono la fede cristiana, non rinunciando però al loro stile di vita errabonda, dedicandosi all’allevamento e commercio di cavalli, alla fusione di metalli e alla realizzazione di pregiate armi bianche, a godersi la vita a suon di musica e balli, alla predizione del futuro, e della buona ventura. Sotto la spinta degli eserciti ottomani molti di loro sciamarono verso occidente facendo la prima comparsa in Italia, Francia e Spagna nella prima metà del XV secolo. Dopo la caduta di Bisanzio in mano musulmana (1453), si accentuò l’esodo verso occidente, dove vennero ovunque accolti benevolmente, perché si presentavano come cristiani in pellegrinaggio verso i luoghi santi come Santiago di Compostela.
Ben presto però furono fatti oggetto di leggi e ordinanze sempre più restrittive, perché ovunque si accampassero portavano disordini e scompiglio nelle popolazioni, ma soprattutto perché sfuggivano a ogni controllo delle autorità, oltre che sottrarsi a qualsiasi tipo di imposizione sia fiscale sia sociale e militare. Li si accusava di essere imbroglioni, bari, ladri, dediti al furto di oggetti preziosi che poi fondevano, di appropriarsi di cavalli e bestiame degli abitanti locali, di dedicarsi alla predizione del futuro e alle arti magiche, anche con rituali satanici, di atti contrari alla Santa Religione Cattolica.
Nei regni dell’impero spagnolo, la politica repressiva verso i nomadi fu alquanto blanda, se paragonata alla persecuzione contro i marranos ebrei e contro i moriscos musulmani. Si tendeva soprattutto a favorire l’assimilazione con le popolazioni locali, inducendoli ad apprendere un mestiere o porsi al servizio dei signori, e ad assumere cognomi e costumi indigeni. Si spiega così l’inefficacia dei tanti bandi e prammatiche contro gitanos y griegos, anzi in alcune zone come l’Andalusia l’incontro della cultura occidentale, con quella gitana e reminescenze del mondo arabo, diedero luogo a un magnifico modello di convivenza sociale e civile, che si esprime ancora oggi in altissime forme artistiche come il flamenco assurto ad emblema del più puro spirito gitano.
In Sardegna le prime notizie sui nomadi risalgono al 1553 quando fu emanata una prima crida con disposizioni contro il loro stile di vita, minacciando pene e punizioni. Nessuno sapeva da dove venissero questi primi nuclei, erano chiamati cinganos e bohemiens, e approdarono nella nostra isola o da una rotta continentale attraverso i Pirenei e la Catalogna, o forse direttamente dalle regioni dell’impero bizantino con naviglio commerciale genovese o catalano.
Una costante che si ripete sempre negli spostamenti del variegato popolo nomade di quell’epoca, è data dalla presenza di innumerevoli toponimi che hanno come base semantica Sarai/Sarais. Con questo termine da sempre nelle regioni nord occidentali indiane si indica un luogo di sosta e di riposo, dove facevano tappa le innumerevoli carovane che attraversavano il paese, crocevia degli scambi tra oriente e occidente. Sarais è anche divenuto per traslazione sinonimo di albergo, rifugio, palazzo, di luogo di commercio (da qui deriva anche il termine arrivato in occidente di caravanserraglio, luogo appunto di incontro delle carovane, e di gran confusione).
Nello sciamare verso occidente il popolo nomade ha punteggiato tutto il percorso di località chiamate Sarais, quali punti di ritrovo delle diverse carovane. In India esistono tuttora parecchie decine di località chiamate Sarais ubicate in prevalenza nel Punjab e nell’Uddar Pradesh; Sarais si trovano in Pakistan, Azerbaigian, Afghanistan, in Russia, in Iran, Iraq, diverse sono le Sarais in Turchia, Grecia, Macedonia, in Bosnia la capitale Sarajevo era una antica Sarais, e poi in occidente in Francia, Spagna, Corsica e Sardegna. Come si vede sembrerebbe proprio una rete ben precisa, dove le diverse località Sarais hanno fermato nella grande mappa della storia il cammino dell’eterno peregrinare del popolo nomade.
In Sardegna sono diverse le località Sarais (Arixi, Gesico, Guspini, Suelli, Usellus), ubicate spesso nelle immediate periferie dei paesi dove fino a qualche anno fa si accampavano i clan zingari. Secondo le leggi in vigore in tutta Europa, le carovane o anche i pur ristretti clan familiari dei nomadi non potevano accamparsi nei centri abitati, ma dovevano sostare ai margini di essi a debita distanza. A Guspini il toponimo è attestato fin dalla fine del ‘500, e per secoli questo è stato il luogo deputato a ospitare carri e tende prima, e poi caravan e roulottes dei popoli Sint e Rom (volgarmente è detta anche is Arais, ad indicare forse gruppi di persone).
Accanto al toponimo è abbastanza diffuso anche il cognome Sarais specie in Sardegna, nella Francia meridionale, in Catalogna, Maiorca e Valencia.
Da quanto esposto finora, azzardiamo l’ipotesi che all’origine della diffusione del toponimo e del cognome ci siano gruppi nomadi che partendo dall’India abbiano attraversato tutta l’Europa, traendosi dietro questo nome che arrivò quasi a identificare i loro clan e le località da loro attraversate. Probabilmente arrivarono in Sardegna nella prima metà del cinquecento, ben prima dell’arrivo dei gitanos y griegos come vennero chiamati i nomadi dell’impero spagnolo dal XVII secolo in poi. La prima attestazione del cognome Sarais la troviamo a Pauli Arbarei nei registri parrocchiali del 1577 con il battesimo di Johana, figlia di Nani Sarais e Luxia Sunda. Pian piano i Sarais dovettero abbandonare parzialmente la vita nomade, e crescendo in famiglie si stabilirono in diversi centri della diocesi di Ales come Mogoro, Terralba, Guspini, e da qui poi si sparsero in molti altri centri. A Guspini arrivarono nella prima metà del ‘600, prima Francisco e poi Pere forse fratelli originari di Pauli Arbarei. Pere in particolare portò la sua famiglia a Guspini, dove però mori prematuramente nel 1674, e nel registrarne la morte il sacerdote lo chiama gitano sardo de Pauly. Da questa breve annotazione sappiamo che Pere era di etnia gitana, ma sardo di nascita, a significare che la sua famiglia era residente nella nostra isola già da alcune generazioni. Aveva sposato una gitana originaria di Valencia, si era sedenterizzato a Guspini e la sua famiglia abbandonò definitivamente la vita errabonda del nomade. Una sua figlia Demetria sposò un influente notaio guspinese che divenne anche Podestà della baronia di Monreale, un figlio maschio Vicente si sposò a San Gavino e dopo aver ottenuto le regie patenti svolse l’ambita professione di chirurgo.
La santa protettrice del popolo nomade è Santa Sara, secondo le fonti bibliche la moglie di Abramo, e in Francia a Saintes Marie de la mer si svolgono nel mese di maggio i grandiosi e suggestivi festeggiamenti in onore di Santa Sara la nera, a ricordare forse le lontane terre indiane da cui partirono i loro antenati.
Purtroppo la carenza documentaria degli archivi sardi, impedisce di comprovare l’affascinante ipotesi che abbiamo ricostruito seguendo le tracce degli antichi Sarais, ma forse con le nuove tecniche di indagine come la ricerca del DNA, si potrebbe un giorno ricostruire quel filo sottile della storia che collega la Sardegna con gli assolati e misteriosi altopiani indiani.
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